Ticinesi sempre più depressi? Lo psichiatra Michele Mattia da anni si batte per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla salute mentale.
LUGANO - «La depressione continua a essere percepita con un velo di diffidenza e di sospetto». Michele Mattia, psichiatra e psicoterapeuta, si batte da anni per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salute mentale. Sarà presente anche sabato 26 aprile alle 18 presso la Sala del Consiglio Comunale di Cadenazzo in occasione della presentazione del romanzo “Il pianista della mente” scritto dal giovane autore Leo Silva Brites.
La sua voce in simili eventi pubblici ha un peso.
«Lo scopo è quello di eliminare lo stigma. In particolare attraverso la sensibilizzazione delle nuove generazioni. Affinché abbiano occhi diversi per vedere i problemi della salute mentale».
Il romanzo di Brites parla di depressione. Questo non è un mondo per depressi.
«Non lo è mai stato. Un tempo chi era depresso veniva visto come “pazzo”. Il tema era tabù. Adesso se ne parla molto di più. Ma c’è spesso quella sensazione stigmatizzante. Pensate a qualcuno che è gravemente depresso e che magari non può lavorare. C’è chi si permette di dire “eh, ma un po’ quello ci fa”».
Perché il male psichico è dimostrabile solo fino a un certo punto.
«Sì. Però anche l'amore non è dimostrabile. Eppure esiste. Il problema è che questa è una società che vuole sempre più prove evidenti. La psichiatria si basa molto sulla relazione e sull’esperienza dello specialista».
Anche le statistiche sulla depressione non sono facilmente decifrabili. Tuttavia nella Svizzera italiana i disturbi depressivi sembrano sempre più diffusi.
«Alcuni studi indicano che circa il 7% della popolazione soffre di disturbi depressivi. Altri indicano che circa il 20% della popolazione nel corso della vita avrà un episodio depressivo. Molta gente non vuole approfondire la rispettiva condizione. O nega ancora il proprio stato. Lo stigma è anche dentro chi soffre».
Che spiegazioni dà al crescente fenomeno della depressione?
«È un mondo veloce. Ci chiede di essere performanti. Se non ce la fai, sei fuori. Un sistema del genere, così esigente, non accoglie chi è più lento o chi necessita di un tempo diverso per inserirsi. Ci si sente sempre non all’altezza, inadeguati».
Depressione è un termine generico. In realtà ci sono più tipi di depressione.
«C’è la depressione e ci sono stati depressivi. Ci sono diverse sfumature, così come diversi stati di gravità. A volte la depressione è endogena, indipendente da quello che accade attorno».
Quanto conta la storia famigliare personale nello sviluppo di una depressione?
«Tanto. Gli studi ci dimostrano che i fattori ambientali sono importanti nelle persone già predisposte e vulnerabili».
Dopo la pandemia e con la crisi internazionale in corso c’è chi si lamenta di essere immerso in un mare di negatività.
«È disorientante. Viviamo una situazione di allerta continua, condita da una bulimia di notizie di cui non avremmo bisogno. Internet e i social svolgono un ruolo condizionante in questo. Fino a pochi decenni fa l’essere umano non era bombardato da così tanti stimoli ansiogeni. Oggi la persona si trova a dovere filtrare migliaia di contenuti. Il sistema neuro cognitivo è costantemente sollecitato».
Qual è secondo lei il più grande pregiudizio che la società ha oggi verso i depressi?
«Pensare che la depressione dipenda dalla volontà. Che se uno vuole e si dà da fare, ce la fa. Non è una questione di volontà. Perlomeno quando si ha a che fare con fasi depressive acute. La depressione entra dentro di noi e modifica il nostro pensiero e le nostre emozioni. Stiamo parlando di un problema di salute che spesso deve essere accompagnato farmacologicamente».
Ecco. Chi prende psicofarmaci è ancora adesso etichettato.
«Mettiamo in chiaro una cosa. Definiamo ancora gli psicofarmaci col nome di antidepressivi. Sempre più ci rendiamo conto che è una definizione errata. Si tratta invece di farmaci che stimolano il corretto funzionamento della serotonina nel nostro organismo e che agiscono nei neuroni».
D’accordo. Ma c'è chi si vergogna in farmacia.
«È vero. Si spera che nessuno ci veda. Poi magari può succedere che in farmacia qualcuno dica "ma sicuro che devi prendere questa cosa?". A volte al bancone c’è anche chi si permette di commentare il dosaggio. Nessun medico prescrive psicofarmaci a vanvera».
Torniamo alla sensibilizzazione. In cosa si può migliorare?
«La depressione può essere sostenuta, accolta e curata. È importante anche parlare ai famigliari in modo che conoscano e riconoscano la depressione. Così come ai datori di lavoro».