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LUGANOGiorgio Gaber protagonista a Lugano nelle parole di chi l'ha conosciuto. «Più che un amico, è stato un maestro»

31.05.22 - 06:00
Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione che porta il nome del grande cantautore, gli renderà omaggio a Poestate
IMAGO / Leemage
Giorgio Gaber sul palcoscenico nel 1982.
Giorgio Gaber sul palcoscenico nel 1982.
Giorgio Gaber protagonista a Lugano nelle parole di chi l'ha conosciuto. «Più che un amico, è stato un maestro»
Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione che porta il nome del grande cantautore, gli renderà omaggio a Poestate

LUGANO - Paolo Dal Bon è stato collaboratore di lunga data di Giorgio Gaber - era l'organizzatore dei suoi spettacoli teatrali - e, per volontà degli eredi, è Presidente della Fondazione che porta il nome del grande cantautore italiano. Questa associazione culturale, costituitasi all’indomani della scomparsa di Gaber nel 2003, ha come obiettivo la divulgazione e la valorizzazione della figura e dell’opera dell’artista, «rivolta in particolare alle fasce di pubblico più giovane». Dal Bon sarà protagonista di uno dei momenti più attesi dell'edizione 2022 del Festival Poestate di Lugano: l'omaggio a Giorgio Gaber tra aneddoti, ricordi e insegnamenti curato da Michela Dagnini, giornalista Rsi ma anche amica di famiglia del Signor G. È in programma per giovedì 2 giugno.

Come procede il lavoro della Fondazione?
«Ci sono le attività strutturali (l'archivio, le iniziative editoriali) e alcune iniziative di carattere nazionale, come Milano per Gaber (che inizia stasera, ndr) e il Festival Gaber che in estate facciamo in Versilia. Ma ciò che c'interessa molto è dare la possibilità ai giovani di confrontarsi con quello che Gaber ha fatto e detto. E qui viene in aiuto moltissimo Lorenzo Luporini che è suo nipote. È un ragazzo giovane, sa tutto del nonno ed è molto appassionato a ciò che ha fatto. C'è una differenza abissale tra quando è lui a parlare a dei giovani di Gaber e lo faccio io».

Si avvicina il ventennale della scomparsa di Gaber, sarà il 1° gennaio 2003: farete qualcosa di davvero speciale?
«Cercheremo di fare delle cose importanti come in occasione del decennale, ma soprattutto ci piacerebbe fare un docu-film con una regia di prestigio e con le immagini di Gaber. Anche a Poestate ci sarà modo di vedere degli spezzoni video, in grado di mostrare la sua straordinaria efficacia comunicativa».

Da dove si partiva nell'organizzare uno spettacolo di Gaber?
«Ho iniziato a lavorare con Gaber tra la fine del 1984 e l'inizio del 1985. Da poco era passato da un'attività teatrale totalmente autonoma alla programmazione ufficiale delle compagnie nazionali di giro. Prima, invece, affittava lui i teatri e teneva un numero di repliche in base alla richiesta del pubblico, in genere non bastavano mai... Siccome tutti richiedevano la presenza di Gaber, il mio lavoro era quello di aspettare le telefonate dei teatri. In un attimo si riempiva il calendario. Era un grande privilegio».

Uno spettacolo che si vendeva da solo...
«Assolutamente sì, ma da parte di Gaber c'era una grande attenzione alla richiesta economica. Nei teatri delle grandi città si andava a percentuale e la media delle entrate riferite a questi spettacoli era superiore a quella dei biglietti venduti. Ha sempre voluto che la richiesta fosse equilibrata, di buon senso, basata sulla volontà di non abusare della domanda che c'era e non arrivare a una richiesta economica che poteva essere molto superiore».

Lo spettacolo che avete fatto insieme che ricorda in modo particolare?
«Forse "Il Grigio", che abbiamo vissuto come una grande scommessa da parte di Giorgio. Era uno spettacolo totalmente recitato, quindi senza canzoni ma solo un accompagnamento musicale. Una sfida importante che ha voluto fare con se stesso, nel suo percorso di crescita. Fu un successo straordinario, che consacrò Giorgio non solo come grande attore, ma anche come drammaturgo. Lui e Sandro Luporini, naturalmente».

Come funzionava la collaborazione tra lui e Gaber?
«La collaborazione tra Gaber e Luporini risale addirittura agli inizi degli anni '60, con il brano "Suono di corda spezzata", che fu messo sul retro de "La ballata del Cerutti". Era quasi un pezzo sperimentale, suonato solo con la chitarra e con un testo particolare. Il sodalizio diventò sistematico dagli anni '70, ma Gaber impiegò tre anni a convincere Luporini a firmare i pezzi. Prima non voleva neanche comparire. Era talmente schivo, riservato e fuori dagli schemi che non aveva nessuna necessità di apparire. Scriveva con Gaber per il gusto di farlo, con discrezione e in modo defilato».

Solo metà della coppia si sobbarcava il peso del palcoscenico...
«Se Luporini avesse voluto apparire di più e intervenire in incontri con il pubblico e trasmissioni televisive, Gaber non avrebbe avuto alcun problema. Giorgio faceva volentieri queste cose: non perché fosse presenzialista, ma perché per lui era fondamentale rapportarsi con il pubblico. Il rapporto fisico con le persone, a qualunque livello. Dall'incontro con gli universitari al teatro, e non è un caso che facessimo 180 repliche all'anno. Gaber, e ne sono testimone, ha sempre citato Luporini e ne ha riconosciuto ed evidenziato il decisivo contributo».

Lei e Gaber vi consideravate amici?
«Non mi sono mai considerato suo amico, anche perché per ragioni anagrafiche potevo quasi essere suo figlio. C'era un rapporto gerarchico, assolutamente professionale, sul quale si è instaurato poi un rapporto affettivo. La base, il confronto quotidiano, era su un'attività, su un progetto. Più che un amico, è stato un maestro».

Com'era fuori dal palcoscenico?
«Il Gaber persona era veramente eccezionale, ci tengo a dirlo. Superiore anche al Gaber artista. Eravamo veramente di fronte a una persona con qualità umane, d'intelligenza e morali di altissimo profilo. È qualcosa che gli riconoscono tutte le persone che lo hanno circondato. Anche il pubblico percepiva di trovarsi di fronte a una persona speciale e non soltanto a un talento sul palcoscenico. Ha avuto una grandissima importanza nella vita di tante persone: per quello che era, più ancora che per ciò che ha detto».

C'è un lascito morale di Gaber che è profondamente radicato nella società attuale?
«Non saprei: io penso che, rispetto a quando c'era Gaber, il mondo sia anche peggiorato. Sembra che ci sia una deriva, che lui e Sandro avevano individuato molto bene. Quando ci si chiede cosa direbbe oggi Gaber del mondo, suggerisco di andare a riascoltare quello che ha detto in passato, in tutto il teatro canzone. È utilissimo per leggere il presente, che poi è un requisito di tutti i classici».

In effetti moltissimi brani sembrano scritti ieri: cito "La realtà è un uccello", ma anche "La sedia da spostare" e tanti altri.
«Merito del linguaggio che ha usato con Luporini: sono sempre attuali, come lo sono i classici. Gaber me lo diceva: "Sandro e io sono 30 anni che diciamo le stesse cose"».

Quale aspetto aveva interpretato con particolare efficacia?
«Sul piano del conformismo, per esempio, questa radicalizzazione della contrapposizione del pensiero è ulteriormente peggiorata. Gaber non ha potuto farci nulla se non suonare un campane d'allarme e assistere impotente a questa deriva della assoluta mancanza di pensiero. È uno scontro di opinioni dove uno cerca di sovrastare l'altro con la forza dell'argomentazione, non un desiderio di confrontarsi per raggiungere qualcosa di utile per tutti».

Il suo messaggio più efficace?
«C'è un brano del 1974, "Buttare lì qualcosa", che è la teorizzazione più precisa del concetto di libertà e partecipazione. Quello a cui teneva, con Sandro, era di buttare lì qualcosa e non di avere un seguito. Condividere, poi andarsene. Quando qualcuno gli si avvicinava dicendogli che gli aveva cambiato la vita, la risposta era: "Non l'ho fatto apposta"».

Lo diceva anche in un brano di "E pensare che c'era il pensiero", in merito al fare del bene...
«Il suo compito era finito nel momento in cui lui e Sandro individuavano qualcosa d'importante, che ritenevano potesse esserlo anche per gli altri. Dopo la prima teatrale, e verificato che questo era vero, le 160 repliche successive erano un lavoro ma anche un modo per dire, sera dopo sera: "Rifacciamo insieme questo percorso". Era la sua forza, la sua generosità».

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