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CANTONELuke Howard si racconta... a cuore aperto

11.04.18 - 06:01
Venerdì 13 aprile alle 21, il Foce di Lugano, nell’ambito della rassegna Raclette, ospiterà le performance di due autorevoli pianisti e compositori contemporanei: Luke Howard e Federico Albanese
Luke Howard si racconta... a cuore aperto
Venerdì 13 aprile alle 21, il Foce di Lugano, nell’ambito della rassegna Raclette, ospiterà le performance di due autorevoli pianisti e compositori contemporanei: Luke Howard e Federico Albanese

LUGANO - Musica classica contemporanea e sonorità electro si rincorrono, si amalgamano, per poi tornare, talvolta, a viaggiare individualmente sul proprio asse.

Entrambi - Luke Howard (australiano) e Federico Albanese (italiano, di base a Berlino) - forgiano e incastrano, con la massima cura, i pezzetti del proprio puzzle: il primo ha annunciato pochi giorni fa l’uscita del suo nuovo lavoro, “Open Heart Story”, nei negozi il 25 maggio tramite Mercury KX, mentre il secondo ha pubblicato il 23 febbraio la sua terza produzione, “By The Deep Sea” (Neue Meister).

In attesa di assistere alla serata, abbiamo posto alcuni quesiti ad Howard...

Luke, se non sbaglio, quello di venerdì sarà il tuo primo concerto a Lugano... Come ti senti?

«Sono entusiasta! Nel mio cuore la Svizzera occupa un posto speciale: mi sono esibito per la prima volta in territorio elvetico nel 2001 - e poi ancora nel 2004 - in occasione di un concorso pianistico organizzato al Montreux Jazz Festival. Ora, per me tornare - con la mia musica per di più - significa chiudere il cerchio...».

Che vuoi anticipare della performance?

«La setlist raccoglierà brani per pianoforte ed elettronica. Ossia selezioni dai miei album “Sun, Cloud” (Lukktone, 2013) e “Two Places” (Lukktone, 2016). Riserverò comunque del tempo anche per improvvisare e inventare cose nuove...».

Pochi giorni fa hai annunciato l’uscita del tuo nuovo disco, “Open Heart Story”: immagino presenterai, almeno in parte, anche questa produzione...

«Sì, assolutamente. Tra le altre, il pubblico avrà modo di ascoltare “In Metaphor, Solace”, il singolo pubblicato il 5 aprile. Come sai, parte della musica del disco è per orchestra d'archi, quindi non potrò presentare proprio tutto...».

Come e quando hai iniziato a lavorare su questo nuovo album?

«In realtà, è stato realizzato abbastanza velocemente. All’inizio dell’anno scorso avevo abbozzato alcune idee su cui ho iniziato a lavorare seriamente nel mese di aprile, quando ho registrato alcune parti per pianoforte a Berlino. In quegli istanti, devo dire, non sapevo ancora se quelle registrazioni fossero le demo o il disco stesso. Alla fine, erano entrambe le cose, nei termini che i brani per piano solo sono stati incisi in quei giorni e la maggior parte delle composizioni per orchestra d’archi hanno preso forma direttamente da quelle improvvisazioni. Nei mesi successivi ho aggiunto i passaggi elettronici e scritto nuovi pezzi, per poi registrare, infine, le parti orchestrali a casa, a Melbourne».

Come tu stesso hai spiegato nelle righe di presentazione, questo album «esplora relazioni frammentate, l’infanzia e l'avanzare dell’età»: in che modo, esattamente?

«Ho riflettuto su questi aspetti nei momenti in cui lavoravo al disco. Sono dell’avviso, comunque, che l’ascoltatore debba farsi guidare dai propri sentimenti...».

Il titolo della tredicesima composizione, “I Still Dream About You, Sometimes But Not Always”, risuona molto curioso, soprattutto nella seconda parte… Che vuoi dirmi al riguardo?

«Beh, è qualcosa che ho provato! Questo titolo comunque proviene da un dipinto di Mashara Wachjudy, una giovane artista australiana...».

Un'altra composizione è "Remembering My Childhood": cosa ti manca, in particolare, della tua infanzia?

«Credo, prevalentemente, quella percezione infinita del tempo, così come la distante consapevolezza della mortalità. A livello musicale, nel brano figurano riferimenti ai dischi della Yellow Magic Orchestra che ascoltavo da bambino con i miei genitori…».

Che vuoi dire con il titolo della sedicesima traccia, “The Map Is Not The Territory”?

«L'affermazione - “La mappa non è il territorio” - è di Alfred Korzybski ed è riferita alle differenze tra percezione/modello mentale (la mappa) e realtà  (il territorio). L'ho letta per la prima volta in un libro di racconti qualche anno fa e mi ha incuriosito...».

Prima di concludere, cosa hai ascoltato durante l’intero processo di lavorazione dell'album?

«Bartók, William Walton, Górecki, “Metamorphosen” di Strauss, così come Jon Hopkins e Bing & Ruth».

Prevendita: biglietteria.ch

 

 

 

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