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ITALIAVent'anni fa lo schianto che risvegliò i fantasmi di New York

14.04.22 - 06:00
Il 18 aprile 2002 un aereo monomotore decollato da Locarno centrò il 26° piano del grattacielo Pirelli
Tipress
Il 18 aprile 2002, alle 17.50, un aereo si schianta contro il grattacielo Pirelli.
Il 18 aprile 2002, alle 17.50, un aereo si schianta contro il grattacielo Pirelli.
Vent'anni fa lo schianto che risvegliò i fantasmi di New York
Il 18 aprile 2002 un aereo monomotore decollato da Locarno centrò il 26° piano del grattacielo Pirelli
Chi parlò di suicidio, chi di errore del pilota Luigi Fasulo. L'impatto provocò la morte di due donne e una settantina di feriti.

MILANO - Le fiamme, il fumo, uno squarcio nel grattacielo e dei morti. Non siamo a New York, ma a Milano ed è un tardo pomeriggio di vent'anni fa. Alle 17.50 del 18 aprile 2002, un piccolo aereo monomotore da turismo Air Commander, decollato da Locarno 35 minuti prima e diretto all'aeroporto di Linate, si schianta contro il "Pirellone", la torre sede della Regione Lombardia, in piazzale Duca d'Aosta. 

Il 26esimo piano - Tre furono le vittime che persero la vita quel giorno: Luigi Fasulo, il pilota, di origine italo-svizzera, che era da solo a bordo del velivolo, Anna Maria Rapetti e Alessandra Santonocito, due avvocatesse della Regione Lombardia che si trovavano al 26esimo piano, dove si schiantò l’aereo. I feriti furono invece una settantina. Al momento dell'impatto nel grattacielo Pirelli stavano lavorando circa 300 dipendenti della Regione Lombardia: negli ultimi piani del palazzo erano poche le persone presenti perché ancora in corso dei lavori di ristrutturazione. Lo schianto provocò un incendio, l'alzarsi di una densa colonna di fumo che per alcune ore oscurò tutta la zona, non lontana dalla Stazione centrale.

Gli attimi prima dell'incidente - Il monomotore Rockwell Commander era pilotato da Luigi Fasulo, 68 anni. Nato a Prata di Principato Ultra (Avellino) il 27 marzo 1935, all'età di circa 10 anni si era trasferito con la famiglia in Val d'Intelvi e successivamente nel Luganese, stabilendosi a Pregassona. Con 5 mila ore di volo alle spalle, l'uomo, aveva comunicato alla torre di controllo di Linate di avere un problema al carrello. La pista per l'atterraggio di emergenza non era libera così, narrano le cronache di allora, l'aereo da turismo fu “dirottato” verso un'altra zona. Le comunicazioni furono confuse e, nelle risposte che offrì ai controllori di Linate, Fasulo palesò la sua inesperienza a planare in un aeroporto come quello di Milano con procedure complesse e articolate. La figura di pilota è alquanto ambigua in questa vicenda. Le indagini successive e le ricostruzioni, anche della vita dell’uomo, portarono diversi aloni inquietanti sull’accaduto.

Una vita "spericolata" - Scartata quasi subito l’ipotesi ancor più inquietante di un attacco terroristico in emulazione di quello, avvenuto nemmeno un anno prina, alle Torri Gemelle di New York, si fece strada l’ipotesi, per qualche tempo, di un tentativo di suicidio scellerato da parte del pilota. Dagli archivi della polizia svizzera risultò che Fasulo aveva precedenti per contrabbando di opere d'arte e preziosi. Una situazione debitoria, appesantita da provvedimenti di sequestro di beni, tale da sollecitare più di una preoccupazione. Inoltre il suo curriculum da aviatore non era privo di macchie. Un'indole spericolata e incline all'azzardo: aveva infatti all'attivo alcuni atterraggi di fortuna (su terreni non preparati o in condizioni climatiche avverse) e alcuni piccoli incidenti, ad esempio un touchdown troppo affrettato all'aeroporto di Zurigo che aveva causato danni alle luci di pista. Solo le indagini, le relazioni tecniche e le testimonianze successive decretarono che l'incidente fu causato esclusivamente dalla sola inabilità del pilota a gestire un atterraggio complesso in presenza di difficoltà tecniche.

Lavoravano al ventiseiesimo piano: le due vittime morirono all'istante
Erano ancora al lavoro nel loro ufficio. Forse non si sono nemmeno accorte di nulla. I loro corpi straziati e sbalzati, ritrovati altrove. La tragedia del Pirellone di 20 anni fa ha i nomi di Annamaria Rapetti, 40 anni, originaria di Lodi, ma monzese d’adozione, e Alessandra Santonocito, 39 anni, milanese. Entrambe avvocato, facevano parte degli uffici legali di quel maledetto 26° piano, ribattezzato poi “Piano della Memoria” con tanto di targa, colpito dal Piper guidato da Luigi Fasulo.

Ricordate ieri come oggi dai colleghi come professioniste serie, e dai conoscenti come persone amorevoli. Due lavoratrici, due donne in carriera. Annamaria era sposata e aveva un figlio, all’epoca di tre anni, amava la lettura e la musica e vestiva sempre capi firmati; Alessandra era single, ma progettava la convivenza con il compagno, amava la poesia e i viaggi, adorava vestire classico e casual. Donne diverse ma che un tragico futuro avrebbe unito.

 

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