Alle prese con la crisi economica, l'Italia appare afflitta da contraddizioni pesanti, con uno Stato sempre meno capace di spendere per la cultura e privati ancora incerti. Un paese, sottolinea anche il segretario generale della Federazione Roberto Grossi - che come ogni anno ha curato il rapporto - che sconta una visione della cultura ancora troppo identificata solo con la tutela, quasi sempre legata alla spesa più che all'investimento, "che non comprende la reale portata della creatività come forza trainante dell'economia".
"Siamo bravi. Ma quando si tratta di investimenti su creatività e produzione culturale, di sostegno ai giovani talenti", rileva il rapporto, "siamo lontani anni luce rispetto ai nostri partner europei". Lontani dall'Inghilterra, per esempio, che ha stanziato oltre 10 milioni di sterline per il piano strategico Creative Britain News Talents for the New Economy, per la formazione e l'apprendistato di giovani creativi. Lontani dall'Olanda, che con il programma per le Industrie Creative (15,5 milioni di euro) promuove la connessione tra creatività, cultura, economia. Lontani dalla Germania, dai paesi Scandinavi.
Eppure agli italiani la cultura piace: i dati del 2007 raccontano che nelle famiglie italiane, a dispetto di inflazione e crisi dei consumi, per questo settore si spende un po' di più. Sarà perché i prezzi sono cresciuti relativamente meno, ma dove c'é cultura il pubblico in generale, tende ancora ad aumentare. Succede a teatro (+7,66 nell'ultimo anno, +23,5% negli ultimi 10 anni), per i concerti (+17,36%) e per tutto il settore dello spettacolo dal vivo, che vede crescere il pubblico del 10,7% e anche la spesa del 11,28%. Certo, non dappertutto allo stesso modo.