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BELLINZONAInventori di app a tutti i costi: ma l’illusione è amara

02.09.14 - 07:10
Diventare ricchi e famosi con un app originale: molti ci provano, ma nelle tasche finiscono pochi quattrini
Foto d'archivio (Keystone)
Inventori di app a tutti i costi: ma l’illusione è amara
Diventare ricchi e famosi con un app originale: molti ci provano, ma nelle tasche finiscono pochi quattrini

BELLINZONA - Ogni mattina, un ragazzo si sveglia e comincia a sognare. Ma i modi non sono più quelli di una volta. Per diventare ricco e famoso, adesso s’ingegna con le app: 125 miliardi quelle finora scaricate, in un mercato che promette di crescere a ritmi vertiginosi e così alimenta le illusioni. Nel mondo, si stima che oggi lavorino 2,9 milioni di sviluppatori: 406mila solo in Europa, per un indotto di 23,7 miliardi di dollari che entro il 2018 dovrebbe quadruplicarsi. Numeri che nutrono la voglia di improvvisazione, lo stimolo a tentar la sorte: ma le vite che stanno all’ombra di cifre altisonanti sono fatte perfino di stenti. La metà dei professionisti non guadagna neppure un centinaio di dollari al mese.

La realtà è molto più prosaica delle storie di successo; il clamore è orizzonte per pochi: per gli altri è abbaglio destinato a trasformarsi in delusione. Oppure in una professione dignitosa e anonima, priva di ribalta e gloria: un milione i posti di lavoro che attualmente in Europa gravitano intorno all’app economy e che in cinque anni diventeranno quasi cinque volte tanti. Andrea Rangone, responsabile scientifico dell’Osservatorio Mobile&App Economy, conferma: le app rischiano di diventare un inganno per troppi. «Nel marasma degli app store, quelle che ottengono risultati interessanti sono pochissime. Per la maggior parte i numeri sono risicati o nulli».

Professore, qual è il problema?
Riuscire a far conoscere un app. Gli store sono come città entro cui è difficile orientarsi. La vera competenza, oggi, non è sviluppare una buona app, ma riuscire a raggiungere l’utente. Capire quali sono i canali migliori per arrivare alla gente.

L’impressione è che oggi troppe persone si improvvisino sviluppatori di app, come confidassero nel guadagno facile: è così? 
È vero. Qualcuno ci riesce. Ci sono app realizzate da ragazzotti, appena maggiorenni, che vengono scaricate da migliaia di persone. Ma per la maggior parte è difficile, anche se l’app è buona. Molti sviluppatori restano dei perfetti sconosciuti.

Guadagni?
Al Mip, Politecnico di Milano, sono passate anche persone che guadagnavano 5 o 10 mila euro. Ma sono una minoranza.

Perdite?
Più del denaro, si perde del tempo. Creare un app richiede energie che spesso vengono spese senza ricevere nulla in cambio.

Pare che la gente scarichi sempre meno app: un mercato in crisi?
Si tratta di dati di una ricerca, svolta nel Regno Unito, che mi lasciano un po’ scettico. È evidente, lo dicono da tempo anche le nostre indagini, che gli utenti scaricano un numero elevato di app, più per la piattaforma iOS che Android, ma poi ne usano molto poche. È un comportamento molto comune e impossibile da arginare. Le ultime ricerche evidenziano che se ne scaricano anche meno del passato: su questo nutro dei dubbi. Direi piuttosto che più lo smartphone si diffonde, più raggiunge utenti meno attivi. Gli allarmismi sono il risultato di due fenomeni: da un lato, in passato si è scaricato molto, troppo; dall’altro, lo smartphone è diventato un oggetto di massa. Ma da sottolineare non è il numero di app scaricate: è il numero di app inutilizzate.

Di quante stiamo parlando?
Qualche stima arriva fino al 98%. Di certo, le app senza mercato sono oltre il 90 per cento.

Troppo facile cadere nei doppioni?
In effetti sono molti. Altre app, invece, vengono utilizzate per un periodo limitato.

Qual è il ciclo di vita medio?
Non si può generalizzare. I giochi hanno un ciclo molto breve: conta molto la moda. Altre app sono per sempre: le utility app, per esempio il navigatore, o quelle legate all’e-commerce, che servono per fare acquisti su un determinato sito.  

Quali sono i settori su cui puntare, nella speranza di avere successo?
Gli elementi che contribuiscono al successo sono tre: due controllabili e uno un po’ meno. Anzitutto, è bene pensare a un settore che non sia inflazionato, sviluppare un app che sia realmente utile e senza concorrenza spietata. Si ha un’idea, si fa un’analisi della competitività, si capisce se è buona. Secondo, bisogna realizzare un app che possa essere utilizzata in modo efficace: semplicemente, deve essere una buona app, che utilizza correttamente le tecnologie disponibili. Il terzo aspetto, più complicato, riguarda i canali più efficaci per pubblicizzarla: cioè più intelligenti e meno onerosi.

Di che investimento parliamo?
Se alle spalle non c’è una società, un budget contenuto non deve superare i 10mila euro: per cominciare, poi dipende. Se si guadagnano soldi, si possono investire di conseguenza. Le strategie possono essere differenti. Ho visto ragazzi molto in gamba con le app free, bravi a sviluppare il proprio guadagno con l’advertising network, altri molto abili nel comprendere quale fosse il prezzo giusto perché l’app venisse scaricata.

Per avere più probabilità di sfondare, meglio puntare sui giochi o stanno emergendo nuovi ambiti?
I giochi generano il fatturato maggiore: ma si tratta anche del settore più competitivo e imperscrutabile. Davanti a due giochi simili, è difficile comprendere le ragioni che decretano il successo dell’uno piuttosto che dell’altro. La concorrenza è immane. C’è chi fa soldi e chi non ne fa proprio. I giochi si rivolgono a una fascia di utenti specifica: comprendere in che direzione è meglio spingere il marketing per conquistarla non è uno scherzo.

Che cosa aspettarsi dal futuro?
Il mercato delle app è destinato a crescere. L’app economy si prenderà una fetta consistente dell’economia. Ma scegliere sarà sempre più difficile. Oggi vendere un app è come vendere una brioche in un supermercato: la probabilità che il consumatore compri quella che hai fatto tu è minima. Ci sono due modi in cui ci si comporta all’interno di un app store, attualmente. O si va nello spazio di ricerca e si digita il nome di un’app che si conosce già, oppure ci si affida alle app segnalate negli elenchi: le più popolari, le più redditizie… Ma arrivare in quelle classifiche è molto complicato. Io penso che sarà questa la grande evoluzione: l’orientamento dell’utente. Si troverà un modo per riuscire ad agganciarlo, dandogli l’app di cui ha bisogno. Questa è la grande area da migliorare. Oggi, nel mare magnum delle app, si finisce sempre per scaricare le stesse cose.

Lo sviluppatore guadagnerà sempre di più o sempre di meno?
Subentreranno due meccanismi già visti col web. Da un lato scomparirà l’effetto demagogico, come è accaduto con l’e-commerce: la voglia di provare a guadagnare in maniera facile andrà a smorzarsi. Prevarranno indicazioni più corrette, veritiere: cioè che fare lo sviluppatore è un mestiere e non genera guadagni astronomici. In secondo luogo, ci sarà un matching più efficace tra esigenze dell’utente e app corrispondente: ma il mercato diventerà più aggregato. Come oggi con l’e-commerce la maggior parte delle transazioni è fatta da pochi siti, in Italia si parla di appena 20 per l’80%, anche il comparto delle app si concentrerà intorno a grandi player. Ciò non toglie che i piccoli player continueranno ad avere voce e a incamerare risultati importanti, grazie alle capacità di marketing e all’incontro più agevole fra domanda e offerta. 

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