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SVIZZERAI tibetani chiedono tutela alla politica estera elvetica

06.03.19 - 15:07
L'accordo di libero scambio tra Svizzera e Cina ha comportato restrizioni per la comunità tibetana: «Un semplice dialogo non basta»
Keystone (archivio)
I tibetani chiedono tutela alla politica estera elvetica
L'accordo di libero scambio tra Svizzera e Cina ha comportato restrizioni per la comunità tibetana: «Un semplice dialogo non basta»

BERNA - I tibetani chiedono alla Svizzera di fare di più per tutelare i loro diritti. La situazione dei diritti umani in Tibet è tuttora molto precaria, scrive oggi in una nota la Società per i popoli minacciati (SPM) in occasione del 60esimo anniversario del sollevamento popolare anti cinese, che ricorre domenica prossima.

La repressione in Tibet da parte cinese continua tuttora, denunciano le organizzazioni tibetane in Svizzera. Lo scorso febbraio, il governo di Pechino ha imposto un divieto d'ingresso sul territorio tibetano per i turisti stranieri fino alla fine di aprile. Nel dicembre 2018, aveva vietato a monaci tibetani della provincia del Qinghai di insegnare la lingua tibetana nei loro monasteri.

Dal 2009, 155 persone si sono immolate per protestare contro la repressione, rammenta la SPM. «Chiediamo alla Svizzera di impegnarsi, a livello sia bilaterale che multilaterale, per il rispetto dei diritti umani e delle minoranze in Cina», dice il suo condirettore Christophe Wiedmer, citato nella nota. «Un semplice dialogo sui diritti umani - aggiunge - non basta. La Svizzera deve aumentare il suo impegno e la sua politica estera su questo punto».

Un accordo di libero scambio lega la Svizzera e la Cina dal 2013. I due paesi si sono dunque avvicinati sulla scena economica e politica. Per la comunità tibetana in Svizzera, si legge nel comunicato, ciò ha comportato restrizioni concrete in fatto di libertà d'espressione e di circolazione, di protezione della sfera privata e del diritto di avere la propria identità.

Si sono per esempio riscontrati - accusa la SPM - attività di sorveglianza informatica e tentativi di intimidazione cinesi al Consiglio dei diritti umani dell'Onu a Ginevra, come pure infiltrazioni di spie sul suolo elvetico.

La Svizzera fu il primo paese europeo che dopo la repressione cinese in Tibet, seguita alla rivolta popolare del 10 marzo 1959, diede accoglienza ai profughi, fuggiti a migliaia. Buona parte di loro si è rifugiata a Dharamsala, in India, dove tuttora risiede il Dalai Lama.

Tra il 1960 e il 1963, circa 200 bambini tibetani furono accolti da famiglie adottive e nel Villaggio Pestalozzi di Trogen (AR). Nel 1963, il Consiglio federale decise di concedere asilo ad altri 1000 profughi tibetani. I fratelli Jacques e Henri Kuhn, proprietari della fabbrica di pentole a pressione Kuhn Rikon, misero a disposizione posti di lavoro e alloggi per conto della Croce Rossa.

Oggi sono circa 7500 le persone con radici tibetane che vivono in Svizzera, fra cui 400 richiedenti asilo, ha detto a Keystone-ATS Uwe Meya, della Gesellschaft Schweizerisch-Tibetische Freundschaft (GSTF), società per l'amicizia svizzero-tibetana fondata nel 1983.

Il 10 settembre 2018 le organizzazioni tibetane e la SPM avevano consegnato alla Cancelleria federale a Berna una petizione firmata da 11'300 persone in cui si formulavano le stesse rivendicazioni ribadite oggi. Finora non è loro pervenuta alcuna risposta formale, afferma Wiedmer.

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COMMENTI
 

LAMIA 5 anni fa su tio
Bravo roma! CONCORDO

LAMIA 5 anni fa su tio
Bravo roma CONCORDO!

roma 5 anni fa su tio
...anche i ticinesi chiedono a Berna di essere tutelati per via degli accordi bilaterali con l'UE in nome dei quali sono stati "sacrificati" ma ancora non succede nulla quindi, per favore, mettersi in fila e aspettare il proprio turno.
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