Il "manicomio" della nazionale di calcio sotto la lente di Lucio Bizzini, psicologo ed ex capitano della rappresentativa rossocrociata: «Tra la gente, adesso c’è il rischio di disaffezione»
LUGANO – Dalle aquile alla cacciata dei senatori. Una lunga serie di errori commessi da giocatori, staff e federazione. È un'estate da incubo per la nazionale di calcio svizzera. Il Blick, definendo la Nati un "manicomio", chiede la testa dell'allenatore Vladimir Petkovic. Intanto, Alex Miescher, il segretario generale dell'ASF che aveva messo in discussione la questione dei doppi passaporti, ha gettato la spugna. «E pensare – dice Lucio Bizzini, psicologo ed ex capitano della nazionale a fine anni '70 – che questo doveva essere un periodo particolarmente positivo, in cui inserire in squadra nuovi giocatori».
Invece, sta andando tutto a rotoli. A partire dal caso Behrami.
Non so perché Valon, appena ricevuta la fatidica comunicazione da Petkovic, si sia rivolto ai media. Lo stimo molto. Ha dato tanto alla nazionale. Ma secondo me ha sbagliato.
Avrebbe dovuto temporeggiare un attimo?
Forse. Deve anche rendersi conto che ha appena sposato una donna famosa. È chiaro che la sua presa di posizione, così netta, faccia discutere.
Già, la sciatrice Lara Gut. I due hanno sempre chiesto discrezione in merito al loro matrimonio, celebrato di recente.
E ora sono sulle prime pagine dei giornali. Un paradosso.
Addirittura c'è chi ipotizza che Lara sia una della cause dell'allontanamento di Behrami dalla nazionale...
Io questo non lo so. E non so neanche quanto alla coppia faccia davvero dispiacere essere nell'occhio del ciclone. Nell'era del gossip, l'importante è che si parli di qualcuno. Non importa se bene o male.
Le aquile, il caso dei doppi passaporti, le comunicazioni "poco efficaci" da parte di Petkovic. Psicologicamente che effetto può avere tutto ciò sull'opinione pubblica?
Tutte queste situazioni sono state gestite in maniera amatoriale. E ora possono generare disaffezione da parte della gente e scarsa credibilità verso la nazionale.
Petkovic è stato in parte protagonista e in parte vittima di questo modo di operare.
Adesso la sua posizione è diventata difficile. In un mondo contraddistinto dai social network e dai “media veloci”, non si può più ragionare superficialmente. Le comunicazioni importanti vanno pianificate con cura. Non in maniera approssimativa.
Torniamo alla storia delle aquile. Correva il mese di giugno, contro la Serbia, al mondiale di Russia...
Sapete cosa mi ha colpito di quella vicenda? Che si trattava di un gesto programmato. E anche in quella circostanza non c'era stata una comunicazione chiara. La federazione avrebbe dovuto avvisare i giocatori sul fatto che certi gesti non andavano fatti. Con largo anticipo. Inutile parlarne adesso...
Perché i giocatori di altre nazionali multiculturali cantano l'inno e i naturalizzati della Svizzera no?
Io sono ticinese, di Biasca. E l'inno non l'ho mai cantato. Ognuno ha il proprio approccio. D'altra parte, il nazionalismo è diverso dal patriottismo. Sulla questione dell'inno non polemizzerei troppo. Per il resto, invece, c'è parecchio da sistemare.