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ZURIGO Studentesse che preferiscono un marito alla carriera. Scoppia il dibattito

11.05.23 - 14:33
Accese le reazioni sullo studio zurighese. Una delle autrici: «Sopraffatta e stupita»
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Fonte ats
Studentesse che preferiscono un marito alla carriera. Scoppia il dibattito
Accese le reazioni sullo studio zurighese. Una delle autrici: «Sopraffatta e stupita»

ZURIGO  - La maggioranza delle studentesse preferisce sposare un uomo benestante invece che fare carriera in proprio? La pubblicazione dei risultati di uno studio zurighese ha accesso negli ultimi giorni un enorme dibattito nella Svizzera tedesca, che sta interessando l'insieme dei media e infuocando il confronto sulle reti sociali. Ora parla una delle autrici della ricerca.

La bomba è scoppiata domenica: la SonntagsZeitung ha riferito in esclusiva di uno studio - non ancora pubblicato - condotto interpellando quasi 10'000 alunni dell'Università di Zurigo e del locale Politecnico federale riguardo alle loro ambizioni di carriera, alla loro opinione sulla famiglia, alla scelta del partner e così via. L'obiettivo era di stabilire perché negli atenei vi fossero ancora così poche donne in posizioni di primo piano. Il risultato - riassunto dal domenicale - può apparire sorprendente: il motivo per cui le donne si trovano raramente in posizioni di leadership non è la discriminazione, ma il fatto che le esse aspirano a questo obiettivo molto meno degli uomini. La maggior parte delle studentesse vuole un partner più anziano e di successo di loro: in presenza di figli, sarà lui a dover provvedere al reddito principale, mentre lei lavorerà a tempo parziale.

Accese reazioni

La notizia ha provocato accese reazioni nei giorni seguenti. Sono scese in campo associazioni come Alliance F e anche diversi esponenti politici. Vi è chi ha sostenuto che in realtà si è di fronte a un problema come quello dell'uovo e della gallina: sono le donne che si indirizzano verso lo scenario indicato o è la situazione generale che spinge le lavoratrici ad adattarsi? A livello accademico il politologo Michael Hermann ha contestato i risultati emersi, basandosi sulle proprie ricerche.

La Neue Zürcher Zeitung (NZZ) dà ora spazio in un'intervista a Katja Rost, professoressa di sociologia e una delle due autrici (l'altra è la professoressa di economia Margit Osterloh) dello studio al centro dell'attenzione, che si dice sorpresa dall'eco suscitata dal suo lavoro. «Ne sono stata sopraffatta e sono stupita anche da quanto estreme siano state le reazioni. Si tratta di una discussione ideologicamente accesa in cui i fronti si stanno irrigidendo. Ma ovviamente sono convinta dei nostri risultati. In realtà non sono sorprendenti, sono in linea con molti studi attuali su questo tema».

Le studentesse - chiede la giornalista economica della NZZ - sono quindi davvero una sorta di principesse che vogliono un uomo ricco e più vecchio? «No, questa è un'affermazione troppo azzardata. Non stiamo assolutamente dicendo questo. Non è certo vero che tutte le donne sposino uomini ricchi e non vogliano fare carriera. Ma dimostriamo che esistono differenze sistematiche tra i desideri e le idee degli uomini e quelli delle donne».

«Molte donne hanno un modello di ruolo abbastanza egualitario. Vogliono lavorare, ma - soprattutto con bambini piccoli - non sempre a tempo pieno. Pochissime donne desiderano un marito attivo a tempo pieno. Soprattutto le donne dei cosiddetti corsi di laurea femminili» - cioè quelli con il 70% o più di alunne femmine all'inizio dello studio - «vogliono che anche il loro partner lavori a tempo parziale», spiega la docente dell'Università di Zurigo. «La domanda è: dove si svolge il mercato del matrimonio? Le donne provenienti da corsi di laurea femminili spesso sposano uomini provenienti da corsi di laurea maschili. Questa combinazione spesso rafforza i ruoli tradizionali, con gli uomini che si concentrano maggiormente sulla carriera e le donne che passano in secondo piano dal punto di vista professionale».

Decisivi i figli

Decisivo è l'arrivo di figli. «Il divario salariale tra uomini e donne è quasi scomparso fino al momento in cui i giovani diventano genitori: allora si assiste spesso a una ri-tradizionalizzazione delle coppie, anche tra coloro che prima di diventare genitori erano molto egualitari. L'ho già dimostrato in uno studio di sette anni or sono».

La ricerca attuale si interessa al fenomeno per cui le donne, sebbene ben rappresentate in molti campi di studio, vedono diminuire la loro quota a ogni livello di carriera accademica: ci sono sempre meno dottorande, assistenti e professoresse. «Per quanto riguarda le cattedre, nonostante le misure per la parità di genere, c'è un tetto massimo del 25%. Il nostro obiettivo era di scoprire perché così tante donne escono dal sistema nel loro percorso di carriera accademica. Per farlo, nel corso di due anni abbiamo raccolto e valutato molti dati dalle statistiche universitarie degli ultimi 10-15 anni e alla fine abbiamo anche intervistato 10'000 studenti».

«Abbiamo ipotizzato che le donne abbiano minori opportunità di avanzamento laddove la loro quota è bassa perché sarebbero escluse in quanto minoranza. Tuttavia, i nostri dati dimostrano che è vero il contrario», spiega l'esperta. «Abbiamo scoperto che nei cosiddetti corsi femminili di laurea molte donne escono dal sistema durante la loro ascesa. In ingegneria meccanica o fisica, invece, le donne si perdono molto meno: la percentuale di professoresse è paragonabile alla percentuale di donne al momento del bachelor. Questo schema sistematico ha contraddetto completamente la nostra ipotesi».

«Avevamo dato per scontato che donne e uomini volessero le stesse cose e avessero gli stessi obiettivi. Ma la ricerca non lo dimostra. Il fatto che io abbia avuto una carriera non significa che tutte le donne la vogliano», osserva la 47enne accademica tedesca. «Ci sono donne che vogliono fare carriera e donne che non vogliono fare carriera. Così come tutti gli uomini non vogliono fare carriera. In ogni caso, l'orientamento alla carriera delle giovani generazioni è complessivamente diminuito, indipendentemente dal genere».

Serve una discussione sociale

«Il problema è come noi, come società, affrontiamo questa cosa. Dobbiamo cambiare le donne e gli uomini? Devono essere tutti uguali? A mio parere, in questo caso è necessaria una discussione sociale più ampia. Questo vale anche, ad esempio, per la questione della scelta delle materie di studio e delle carriere. È un male che le donne preferiscano altri indirizzi e professioni rispetto agli uomini? E se è così, cosa vogliamo e possiamo fare come società, senza esercitare coercizione?»

«Forse bisogna anche accettare il fatto che le carriere a tempo parziale non sono perfettamente possibili in alcune professioni, come nell'ambito della chirurgia», osserva l'intervistata. «Forse ci vorrà molto tempo prima che si raggiunga un'alta percentuale di donne in questo settore o forse non ci si arriverà mai. Tuttavia, dovremmo pensare di più ai modelli di carriera a tempo parziale, anche e soprattutto in medicina».

«Quello che mi infastidisce di più in queste discussioni è il fervore ideologico», prosegue Rost. «Dire che tutte le donne vogliono fare carriera, se non è vero, porta alla discriminazione degli uomini nel medio termine. Possiamo dire che lo accettiamo: il fine giustifica i mezzi. A lungo termine, però, ciò è negativo per l'emancipazione. In tal caso avremmo fatto un passo indietro. E questo sarebbe un vero peccato».

«Non dobbiamo rinunciare a un dibattito basato sui fatti solo perché temiamo che le conquiste dell'emancipazione vengano vanificate. Al contrario: queste conquiste vengono annientate se discutiamo con i paraocchi ideologici», conclude la professoressa con studi a Lipsia, Berlino e Zurigo.
 
 

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