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LUGANOQuando i fantasmi scavano nel tuo passato

16.05.24 - 06:30
Nostalgia e riconciliazione corrono sugli stessi binari nel film "Retour en Alexandrie", diretto da Tamer Ruggli.
Solothurner Filmtage
Quando i fantasmi scavano nel tuo passato
Nostalgia e riconciliazione corrono sugli stessi binari nel film "Retour en Alexandrie", diretto da Tamer Ruggli.

LUGANO - La nostalgia, quando si riaccende, si mischia con la rabbia, il dolore, ma anche con la necessità di fare i conti con un passato ancora aperto che reclama una conciliazione rimandata per anni. "Retour en Alexandre", diretto da Tamer Ruggli e presentato questa sera al cinema Iride di Lugano alle 20.15, racconta la storia di un vissuto che, dopo tanti anni, torna a bussare alla porta. Ricordi ed emozioni che si credevano confinati in un dimenticatoio ermetico e ben chiuso a chiave che invece riemergono travolgendo la protagonista Sue. La donna si trova così “costretta” a riavvolgere il nastro e tornare in Egitto dopo venti anni di assenza, dove ha passato la sua infanzia.

«Il film è ispirato alla mia storia personale. È un mix tra i racconti di mia madre e i ricordi della mia infanzia di quando ci recavamo al Cairo oppure ad Alessandria. Si può definire un ibrido autobiografico», ci confida il regista svizzero egiziano Tamer Ruggli. «Mia mamma è egiziana ed è cresciuta nella vecchia aristocrazia del Cairo. Il mio bisnonno era il consigliere del re, lei ha vissuto questa élite orgogliosa ed eccentrica ormai in decadenza. Mi raccontava sempre delle storie della sua relazione un po' complicata con mia nonna, una donna molto bella, però anche orgogliosa e gelosa.». 

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Da qui la necessità di scavare in un passato ancora inesplorato. Un sentimento che condivide con la protagonista.
«Mi sono sempre sentito egiziano. Anche se non ho mai vissuto in Egitto, è una cultura che mi sta a cuore e a cui tengo molto. È una parte integrante della mia vita. Questo progetto mi ha permesso di avvicinarmi molto a questa cultura e approfondire una parte importante della storia della famiglia». 

Ha scelto il viaggio per raccontare la storia di una riconciliazione, perché?
«L’appartenenza a una cultura si sente in modo più forte quando si vive all'estero. Sue è scappata dalla sua infanzia per costruirsi un’altra vita in un altro mondo. Ma è una fuga che non si può vincere. Non si può scappare dalla propria storia. Mia mamma ha vissuto più di trent'anni in Svizzera, ma ogni volta che tornava in Egitto sentiva sempre le stesse emozioni. Un'immersione nel passato nei traumi della sua infanzia, tornare ad affrontare i luoghi in cui si è cresciuti. Nel film ho voluto differenziare questi due luoghi. La Svizzera un po’ fredda, e invece il caos egiziano dipinto con molta vita e passione».

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La riconciliazione corre parallela alla nostalgia.
«La nostalgia fa parte integrante della cultura araba. Le canzoni veicolano sempre dei sentimenti e ci fanno ricordare il passato con tristezza. Tutta la mia famiglia ricorda con nostalgia gli anni d’oro del Cairo. Quando la capitale egiziana era un centro culturale e sociale importante. Volevo dipingere questa vecchia aristocrazia che parlava in francese (il linguaggio diplomatico) che ormai adesso si è perso. Volevo raccontare l’Egitto in modo diverso da come avviene spesso nel cinema».

Sue subisce un’evoluzione personale nel corso del film che la porta a prendere una maggiore coscienza della propria libertà.
Mi piacciono le storie di “coming-of-age”. Mi spiego. Spesso i registi raccontano il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta. Io ho preferito mostrare l’evoluzione di una donna matura verso una persona più libera. Lei è venuta in svizzera, è scappata, per costruire. Ha una bella vita, una carriera, ma non ha potuto colmare un vuoto. I colori rivelano molto questo aspetto. In Svizzera è sempre vestita di beige, non ha molta personalità. Quando torna in Egitto e si immerge nel suo passato, nella sua storia, torna più viva e selvaggia. Quando riesce a elaborare  il lutto del suo passato, della sua infanzia e di sua madre, finalmente trova serenità».

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Qual è il ruolo dei fantasmi?
«Sono i ricordi, parte della memoria di Sue, che tornano e accompagnano la protagonista nel suo viaggio. Sono persone che non ci sono più ma che fanno parte della sua vita. Capita spesso che quando una persona è sul punto di morire in Egitto, i parenti che si trovano in Europa non riescono a tornare in tempo per un ultimo saluto. Quando è morta mia nonna, mia madre non ha potuto liberarsi di tanti pesi. Ho pensato quindi di raccontare come una persona può elaborare il lutto: parlare con una persona che non c’è più per essere in pace con se stessa».

Si tratta del suo primo lungometraggio. Quali sono state le soddisfazioni più grandi?
«Sono molto contento di aver potuto lavorare con due attrici molto famose e rispettate. È stato un cast incredibile. Anche se la storia è molto personale, il sentimento è universale. Si traduce in ogni lingua e cultura e mi sembra possa raggiungere tutti».

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