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"Papaya 69", dalla gelosia all'amicizia

MENDRISIO"Papaya 69", dalla gelosia all'amicizia

10.11.23 - 06:30
Il legame di due ragazze finite ai margini della società: è in sala il film dei registi ticinesi Riccardo Bernasconi e Francesca Reverdito
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"Papaya 69", dalla gelosia all'amicizia
Il legame di due ragazze finite ai margini della società: è in sala il film dei registi ticinesi Riccardo Bernasconi e Francesca Reverdito

MENDRISIO - Due ragazze diverse, che provengono da mondi opposti, ma legate entrambe da un passato tormentato che ritorna nelle loro vite costantemente. Eva, una ragazza sudamericana cerca di riallacciare i contatti con la figlia, affidata a una coppia di anziani. E Rainbow un’ex star televisiva con alle spalle un'adolescenza di successo, ma al tempo stesso imbavagliata in un ruolo di cui non riesce a liberarsi. 

L’intreccio delle loro storie farà emergere nel film “Papaya 69” la forza e la volontà di reagire di chi è caduto, per motivi diversi, ai margini della società. «Sono le storie dei personaggi un po’ “sfigati” tra virgolette, di serie B, che ci interessano. Non siamo molto attratti dagli eroi che salvano il mondo», ci hanno raccontato Riccardo Bernasconi e Francesca Reverdito, registi ticinesi del lungometraggio prodotto dalla Pic-Film Sa, in coproduzione con Rsi e sostenuto dalla Ticino Film Commission. «Ci attirano di più tutte quelle storie di chi deve fare più fatica degli altri. Non per avere successo ma anche solo per trovare un posto nel mondo». Il film è disponibile al Lux di Massagno, al cinema Multisala Teatro di Mendrisio e al cinema Rialto di Muralto durante il prossimo weekend.

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Eva e Rainbow sono molto diverse. Eppure nel tempo riescono a sviluppare un'amicizia profonda, un rapporto che va oltre ai pregiudizi e alla gelosia iniziale.
«Il loro rapporto inizia male. È uno scontro più che un incontro. La prima evoluzione di questo incontro è un “potrei sfruttare l'altro per ottenere un guadagno personale”. Alla fine si rendono conto che sono due persone fondamentalmente molto sole e capiscono che avere qualcuno vicino è importante. Condividere delle situazioni, confidarsi, parlare, avere qualcuno con cui potersi confrontare, non è scontato. Il tornaconto personale allora passa in secondo piano. L'amicizia ha un valore superiore. A volte si fa fatica a quantificare perché non c'è un ritorno immediato però proprio per questa volontà di trovare un posto nel mondo l’amicizia è fondamentale. Si fanno un po’ di dispetti a vicenda. All'inizio Rainbow è gelosa del successo di Eva, poi si rende conto che questa gelosia è assurda. Rimette allora in discussione sé stessa: “Sono arrivata al punto di essere gelosa di lei, allora c'è qualcosa che non va ma allora è quello che voglio fare”. Anche quell'elemento che è negativo, la gelosia, scatena una reazione che le permette di rimettere in discussione quello che sta facendo».

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In alcune scene riuscite a sdrammatizzare un momento tragico, con una giusta dose di ironia. Come mai questa scelta?
«Non ci piace affrontare temi troppo pesanti in modo drammatico. La vita è già pesante senza aver bisogno di andare al cinema a deprimerci. Se si affrontano le avversità con il sorriso le cose diventano più facili. Va tutto male? Sì, però se si affronta un momento negativo con determinazione e con un po' di simpatia magari si può fare la differenza. Allo stesso tempo abbiamo anche scoperto in questi attori una vena un po' più comica, che non conoscevamo. Abbiamo scritto la storia pensando proprio alle due attrici, perché sono amiche da molto tempo. Questa vena più comica che ha in particolare Rainbow è emersa in fase di lavoro e ci ha sorpreso positivamente. È stata una bella scoperta».

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L'ambientazione dei vostri film non è mai realistica al 100%, non fa eccezione "Papaya 69". I personaggi non sono legati a uno spazio temporale preciso e definito.
«Siamo convinti che avvicinare il film al 100% alla realtà crea una sensazione di documentario, che non ci piace. Preferiamo avere a disposizione un contenitore più ricreato, più fantasioso. Preferiamo avere la libertà di inserire oggetti, costumi, accessori senza limiti. In questo contenitore personale si sviluppa però una storia universale. I concetti rimangono gli stessi, sia se la storia è ambientata in un bosco oppure in un mondo fantastico. Un altro aspetto secondo me importante legato ai costumi è quello di non essere legati precisamente a un momento storico per non rendere il film legato alla sua epoca. Con le automobili vale lo stesso discorso. Cerchiamo sempre delle auto scassate, vecchie e difficili da contestualizzare».

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Qual'è l'aspetto emerso durante le riprese che vi ha colpito di più?
«Scrivendo questo film abbiamo scoperto l'amore per i personaggi. All'inizio delle nostre carriere eravamo molto più legati all'aspetto estetico del linguaggio cinematografico. Invece con “Papaya 69”, attraverso la stesura dei dialoghi e il lavoro con gli attori, abbiamo sviluppato una sensibilità nuova. Inoltre quando si collabora con attori bravi riescono a portare piccoli accorgimenti che magari ci erano sfuggiti. Sono gli attori che digeriscono il personaggio. Ma c'è un ultimo aspetto importante sottolineare. Viviamo in un momento in cui la nostra creatività viene limitata nell’uso delle parole. Abbiamo dovuto affrontare alcune critiche ingiuste. Per esempio nel nostro film c'è un personaggio che per ignoranza usa la parola “negra”. Non è che perché un personaggio usa questa parola che il regista è razzista. Il mio personaggio non rappresenta chi sono io. Come faccio a condannare il razzismo e l’ignoranza senza poterli rappresentare?».

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