Ridurre le distanze per ritrovare le vere emozioni del pubblico: l'obiettivo di Francesco Tesei, il mentalista più celebre d'Italia.
LOCARNO - Niente conigli che sbucano dal cappello, cucchiaini piegati magicamente e poteri paranormali, eppure gli spettacoli di Francesco Tesi stupiscono, creano meraviglia e soprattutto invitano gli spettatori a riflettere su tematiche mai banali. Il mentalista più celebre d’Italia, che si esibirà con lo show “Telepathy” venerdì 20 ottobre al Teatro Kursaal di Locarno, unisce infatti illusionismo, psicologia e magia con l’obiettivo di smascherare le emozioni e far emergere il desiderio e il bisogno di condividere esperienze tipicamente umane, come la meraviglia e lo stupore, in maniera empatica.
Iniziamo dal titolo "Telepathy", la parola Tele-Pathos, che significa, dal greco, “passione condivisa a distanza”, non è scelta lasciato al caso.
«In apparenza sembra la parola più scontata per un mentalista, cioè qualcuno che ti legge la mente. In realtà l’etimologia racchiude un significato molto più complesso. Questo spettacolo è stato scritto durante il periodo più duro del Covid, quando i teatri erano chiusi e il lockdown limitava i nostri spostamenti. Ho preso coscienza del fatto che questa situazione di sofferenza, malgrado fosse vissuta da ognuno in forme e modi diversi, era universale. È uno spettacolo che nasce da una mia sofferenza personale, ma anche condivisa. L’idea è quella di ridurre le distanze. Il fatto stesso che le persone tornino a teatro dimostra il bisogno, il desiderio e il piacere di riunirsi e vivere delle esperienze insieme. Perché una delle parole chiave è stata proprio il maledetto distanziamento sociale».
Si tratta del tuo quarto spettacolo, quale è il fil rouge della tua carriera?
«Probabilmente chi mi ha seguito fin dall'inizio o chi mi ha seguito attraverso il teatro si sarà senz'altro fatto l'idea (giusta) che io sia un maniaco della perfezione. Nei miei spettacoli c’è sempre un punto in cui sembra che stia sbagliando qualcosa. Eppure ho sempre tutto sotto controllo, e come i pezzi di un puzzle alla fine tutto torna. È tutto calcolato. Questa idea di perfezionismo mi ha sempre caratterizzato. Il periodo del Covid però mi ha un po’ lacerato e ho deciso così di mostrare un lato più fragile e togliere un po' i panni del mentalista che ha sempre tutto sotto controllo».
Un cambiamento dettato dalla tua esperienza personale, cosa deve aspettarsi il pubblico?
«La sensazione che ho vissuto durante il lockdown era proprio quella di aver completamente perso il controllo di quello che stava succedendo. La paura di essere contagiati, i teatri chiusi, la polarizzazione e soprattutto la mancanza di certezze mi hanno destabilizzato. Mi piace l'idea di aver costruito uno spettacolo in cui chi mi conosce rimane un po’ spaesato. Ti aspetti il solito Francesco Tesei perfettamente equilibrato e invece scopri un mentalista che ricorda un po' Amleto. Agli occhi degli spettatori, così come agli occhi degli altri personaggi della tragedia di Shakespeare, sembra impazzito.
Nei tuoi spettacoli il pubblico ha sempre svolto un ruolo importante, come si dialoga con gli spettatori?
«Esatto, i miei spettacoli sono sempre stati interattivi. Per questo durante il Covid mi sentivo come una teiera che è stata lasciata sulla piastra calda per mesi e ha finito completamente l'acqua ed è diventata rovente. È un po' quello che è successo con la mia mente. Sono quindi contento che sia tornato come prima della pandemia. Inizialmente, quando i teatri hanno potuto riaprire agli spettacoli potevano partecipare solo le persone che avevano i green pass indossando la mascherina. Era agghiacciante per me. Un pubblico tutto mascherato non riesce a trasmettere le emozioni. Non riuscivo a intravedere un sorriso, una risata, non coglievo le espressioni. Io non mi posso leggere la mente da solo. Ho bisogno di leggere la mente di qualcun altro per stupire le persone. Si innesca un meccanismo d'interazione che mi è sempre piaciuto. Io arrivo dal mondo dell'illusionismo prima di diventare un mentalista e una delle cose che ho ereditato dell'illusionismo è proprio l'idea di fare qualcosa con il pubblico. Questo rende ogni replica nuova e unica anche per me. C'è sempre un piccolo margine di improvvisazione intesa in senso buono».
Come si legge il pensiero delle persone?
«In verità non si legge nel pensiero però si può adottare un po' più di empatia. Che poi vuol dire la capacità di mettersi nelle scarpe degli altri. Per esempio con un amico basta uno sguardo per sintonizzarsi e lì c'è l'essenza della telepatia che infatti io rifinisco come telempatia. Indovinare il pensiero di una persona è una suggestione che io metto in atto attingendo al mio bagaglio da illusionista. Dentro quella suggestione c'è un invito: guardate come io sono in grado di creare una realtà illusoria. Dall'altra parte questa realtà illusoria veicola dei messaggi che sono piuttosto concreti e devono essere presi per quello che valgono».
Quale è il tuo obiettivo quando costruisci gli spettacoli?
«Insieme al mio collaboratore, Daniel Monti, cerchiamo di far in modo che quando lo spettatore esca dal teatro ponendosi delle domande, degli interrogativi, delle nuove domande stimolanti. Non ho una verità in tasca da elargire alle masse, però ho delle osservazioni, delle provocazioni in modo da stimolare il pubblico. Questo dà un respiro più ampio al mio mentalismo».