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CANTONEQuelli che alla naturalizzazione hanno detto no

27.05.24 - 08:00
Il passaporto svizzero diventa sempre più un documento per privilegiati. Ma c'è pure chi, per qualche ragione, ha deciso di snobbarlo
Depositphotos (Marlon_Trottmann)
Quelli che alla naturalizzazione hanno detto no
Il passaporto svizzero diventa sempre più un documento per privilegiati. Ma c'è pure chi, per qualche ragione, ha deciso di snobbarlo

LUGANO - La naturalizzazione ordinaria è diventata più selettiva, premiando istruzione, conoscenza delle lingue e indipendenza economica. Una rivelazione, quella emersa da un recente studio della Commissione federale della migrazione (CFM) che per il suo presidente, Emanuele Bertoli, «non è bene». «Anche le persone con un livello di istruzione inferiore meritano pari opportunità di naturalizzazione», ha sottolineato Bertoli.

Eppure quel passaporto, tanto voluto da alcuni, non è l'ambizione di tutti. È il caso di Luigi*, oggi 65enne e pensionato. Nato in Italia, è cresciuto in Ticino, luogo che gli ha dato un’istruzione prima, una famiglia e un lavoro poi. Eppure Luigi non si è mai naturalizzato «anche un po' in segno di protesta», ci racconta.

Una scelta dettata in parte dalla sua indole «di sinistra e protestataria». «In realtà - sottolinea - non ho mai avuto la necessità vera di chiederla, tralasciando le complicazioni burocratiche per il matrimonio e la nascita di mio figlio». A dirla tutta, ammette, è stato proprio il procedimento burocratico a rendergli odiosa l'idea: «La prassi diventava, riforma dopo riforma, sempre più complicata. Tutto questo mi infastidiva». Ciliegina sulla torta il trasferimento di Comune, anche se per una manciata di chilometri. «Mi hanno detto che avrei dovuto fare trascorrere almeno 5 anni prima di poter fare domanda. A quel punto, quella che poteva essere un'idea lontana è sfumata completamente». Diverso il caso di sua moglie, che vive con lui da 20 anni, e che sta ultimando l'iter. Alla fine lei sarà svizzera, lui no.

La burocrazia è stata un freno anche per Samuele*. «Sono arrivato a fare questo passo adesso, a 35 anni. L'interlocutrice che ho trovato all'Ufficio naturalizzazioni di Locarno è stata squisita, va dato atto di questo. Ma la procedura è abbastanza tediosa e non solo perché vanno raccolti un sacco di documenti», ci racconta. Samuele cita le tempistiche strette: «Devi fare attenzione alle scadenze, altrimenti sono di nuovo soldi da versare». E proprio il costo di tutta la prassi è un altro aspetto che va considerato: «Tra documenti e il resto alla fine viene fuori un bel gruzzoletto». Ad avvantaggiare Samuele, d'altra parte, il fatto di essere nato in Ticino. «Questo mi ha permesso di evitare l'esame, ma ho dovuto dimostrare di aver seguito le scuole qui, portando tutti gli attestati di diploma. Ti chiedono anche gli ultimi dieci anni di lavoro... ho dovuto recuperare tutti i contratti. Questo solo per avviare la pratica. Una volta passata al vaglio del consiglio comunale dovranno ora convocarmi per un colloquio conoscitivo. Poi ancora tutta una serie di step e rimpalli tra Cantone e Berna. E, naturalmente, in tutto questo non devi cambiare comune».

Non è da trascurare il fatto che, senza naturalizzazione, si evita il servizio militare. «Sono nato nella Svizzera tedesca e cresciuto in Ticino. Un po’ svizzero mi sento, ma non ho mai preso il passaporto rossocrociato», racconta D.P.*, 40enne del Bellinzonese. «Non ho mai visto grossi vantaggi ad essere naturalizzato svizzero. Non sono nemmeno interessato molto alla politica, quindi non ho mai sentito il bisogno di andare a votare. Forse potrebbe essermi utile per qualche posto di lavoro statale, ma per la professione che faccio non ne ho mai avuto bisogno. Infine ho detto no anche un po’ per il servizio militare. Sono un convinto pacifista, contrario a qualsiasi forma di guerra, quindi ero felice di non dover fare il militare in Italia dato che vivo all’estero, figuriamoci se abbracciavo l’idea di doverlo fare in Svizzera. Non escludo però in assoluto che in futuro io possa prendere la doppia cittadinanza, ma per ora non ne sento il bisogno».

Strappa un sorriso, infine, il racconto di Laura*. La sua prozia, Maria*, ha vissuto per più di 100 anni nel Mendrisiotto. «Conosceva tutti, partecipava persino alle cene di partito e il sindaco è andata a trovarla quando è diventata centenaria. Mi sono presa cura di lei verso la fine della sua vita. Mi ricordo che una volta le chiesi: "Ma tu non voti questo weekend?". Mi rispose: "Mi? Noo". Solo tempo dopo ho scoperto che è stata per tutta la vita italiana. Quando è morta lo hanno scoperto anche tutti gli altri nipoti. Era la prima di tre fratelli, unica nata in Italia. Ha mantenuto la sua nazionalità per tutta la vita, senza dirlo a nessuno».

*nomi noti alla redazione

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