Il professor Luciano Bozzo, Università di Firenze: «tutto dipenderà dalla potenza dell'arma e dai venti».
BELLINZONA - La domanda che si fanno in molti è: un Putin messo nell'angolo potrebbe - nonostante l'avvertimento della Nato a desistere da certe tentazioni - ordinare l'utilizzo di armi nucleari tattiche per fermare la controffensiva ucraina che riconquista chilometri di territorio ogni settimana? E gli effetti di queste esplosioni quali potrebbero essere per i Paesi come la Svizzera collocati a poche centinaia di chilometri dai teatri di guerra?
«Il danno dipenderebbe dalla potenza dell'arma utilizzata ma naturalmente anche dalle condizioni atmosferiche: certo se venissero utilizzate più armi atomiche o anche un'arma atomica sufficientemente potente e ci fossero venti che per esempio spirano da est verso ovest, la ricaduta radioattiva potrebbe interessare anche Paesi dell'Europa Centrale, l'Italia settentrionale, la Svizzera, i Balcani».
È il professor Luciano Bozzo, Professore di Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università degli Studi di Firenze, a disegnare (lo fa ai microfoni di Radio Ticino) il quadro dei foschi scenari qualora dal Cremlino partisse l'ordine, agli alti apparati militari, di usare ordigni nucleari tattici.
«Si ripeterebbe quello che noi abbiamo già vissuto nel 1986 con le nuvole radioattive formatesi dopo l'incidente di Chernobyl. Questo - ha detto - è oggi realisticamente il pericolo principale, perché ritengo che non siamo alle porte di un conflitto nucleare che partendo dall'Ucraina si diffonda nel resto d'Europa. Non possiamo affatto escludere però l'evenienza che un'arma nucleare tattica possa essere usata da Putin: e a quel punto si aprirebbe uno scenario nuovo e inquietante.».
Il professor Bozzo entra poi nei dettagli rievocando pagine di storie che nessuno vorrebbe più rivedere: «L'entità delle devastazioni dipende dalla potenza dell'arma che viene impiegata che si misura in kiloton (ndr 1 kiloton è pari a mille tonnellate di tritolo) - spiega - per fare un esempio la bomba sganciata su Hiroshima era di potenza pari a 20 kiloton e a quel tempo - si era in piena Guerra fredda - si diceva che le armi nucleari tattiche dovevano avere una potenza compresa tra 1 e 20 kiloton. Oggi - precisa - le forze russe dispongono di armi nucleari tattiche che hanno una potenza inferiore, di molto inferiore, a 1 kiloton».
Questo, ovviamente, non eviterebbe comunque conseguenze nefaste derivanti dal loro impiego, perché - come racconta ancora il professore - «dobbiamo tenere presente che un ordigno non convenzionale come quello a testata nucleare produce più effetti: l'effetto meccanico, l'effetto termico (con temperature che nelle armi più potenti si sviluppano in milioni di gradi), poi c'è l'effetto radioattivo immediato». Quest'ultimo, responsabile della formazione di polveri che vengono sollevate nell'atmosfera «irradiate e che poi trasportate dal vento possono cadere a grande distanza».
Non è finita qui: gli ordigni nucleari producono anche un effetto elettromagnetico «che rende impossibile nel momento dell'uso dell'arma l'utilizzazione dei mezzi di comunicazione». Lo spegnimento del mondo, in pratica.