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CANTONEL’accusa: «Per lui contavano soltanto i soldi»

21.09.21 - 12:56
Nel processo per il delitto di Muralto, la procuratrice ha ribadito che la versione dell’imputato è «una menzogna».
Ti-Press
L’accusa: «Per lui contavano soltanto i soldi»
Nel processo per il delitto di Muralto, la procuratrice ha ribadito che la versione dell’imputato è «una menzogna».

LUGANO - «L’ha strangolata, poi ha riflettuto su come cavarsela». Nelle prime ore del 9 aprile 2019, nella camera 501 dell’Hotel La Palma di Muralto una giovane donna di 22 anni è morta soffocata. L’imputato, un tedesco di 32 anni, sostiene che si è trattato di un incidente a seguito di un gioco erotico. Ma oggi alle Criminali la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis ha ripetuto più volte che si tratta di «una menzogna».

Quella notte la coppia aveva litigato. Poi nella stanza d’albergo era calato il silenzio. Secondo le analisi del medico legale, la donna è stata stretta al collo e prima di morire avrebbe tentato di difendersi.

Nessun testimone ha riferito di grida d’aiuto. Il 32enne avrebbe tappato la bocca alla vittima. Una conclusione, questa, che si basa su alcune lesioni trovate sulle gengive della vittima.

L’attesa prima di chiedere aiuto - Sempre secondo l’esame medico, la morte della donna sarebbe avvenuta tra le 2.30 e le 6 di quel 9 aprile. Pertanto: «Il 32enne ha aspettato prima di chiedere aiuto, dalla mezz’ora a un massimo di tre ore». Nel frattempo cos’ha fatto? «Sicuramente non ha cercato di rianimarla, non era disperato e non ha nemmeno pianto» ha sottolineato la procuratrice pubblica.

«Ha pensato a lungo sul da farsi, su come cavarsela anche questa volta, ha ideato una vera e propria messa in scena, fingendo l’incidente erotico». Una versione da ricondurre ai segni che le mani dell’imputato hanno lasciato sul collo della donna: «Troppo evidenti per poter scegliere un’altra spiegazione». Ma i giochi di sottomissione che praticava la coppia, non prevedevano mai il soffocamento. «Lei non era quel tipo di donna» ha detto Alexakis, sulla base delle testimonianze fornite da chi conosceva la vittima.

E nemmeno il 32enne sarebbe stato avvezzo alla pratica dell’asfissia erotica. «In oltre cinquecento atti istruttori, non se ne trova uno che confermi che l’imputato la praticava: lo sostiene soltanto lui».

La questione dei soldi - Il 32enne, che aveva molti debiti, sarebbe stato convinto di cavarsela, di poter rientrare al proprio domicilio dopo aver risposto ad alcune domande della polizia. Una volta uccisa la 22enne - secondo la tesi dell’accusa - avrebbe pertanto agito anche per assicurasi la sopravvivenza: aveva sottratto alla donna la carta bancaria per nasconderla nella plafoniera dell’ascensore. Questo con l’intenzione di recuperarla in seguito.

Ma la carta è stata ritrovata quattro mesi dopo da un elettricista che stava effettuando un intervento sull’ascensore. Allora l’imputato aveva affermato di essere estraneo alla questione. In seguito ha poi però ammesso di averla nascosta, parlando di «uno scherzo». «Era con l’acqua alla gola, sapeva che la scientifica avrebbe trovato le sue impronte» ha sottolineato Alexakis. Il ritrovamento, ha concluso l’accusa, dimostra che al 32enne importava soltanto una cosa: «I soldi».

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