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Le "buone madri" che fanno paura alla 'ndrangheta

STREAMINGLe "buone madri" che fanno paura alla 'ndrangheta

18.04.23 - 06:30
La serie "The Good Mothers" racconta il mondo della mafia calabrese attraverso gli occhi di tre donne che l'hanno sfidata dall'interno
Disney
Le "buone madri" che fanno paura alla 'ndrangheta
La serie "The Good Mothers" racconta il mondo della mafia calabrese attraverso gli occhi di tre donne che l'hanno sfidata dall'interno

Sotto sotto, la mafia ha paura delle donne. Teme quel coraggio, che è primogenito della coscienza. E del rendersi conto che quella gabbia - spesso invisibile - che viene a loro riservata, dalla nascita, è reale. Certo, c'è chi in quella gabbia impara a viverci. Forse anche ad amarla, in un certo senso. Ma resta una gabbia. E quelle sbarre non di rado finiscono per restringersi, per soffocare quel coraggio. Tre di queste donne (e il loro coraggio) sono le protagoniste di "The Good Mothers".

La serie, disponibile ormai da una decina di giorni su Disney+ e già vincitrice del Berlinale Series Award, mette in scena le vicende di Lea Garofalo, Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola. Donne di 'ndrangheta, loro malgrado. È uno sguardo diverso sulla cosiddetta "onorata società". Non quella dei morti lasciati per strada, delle faide e dei sequestri. La si osserva dall'interno e ci si rende conto di quanto sia difficile trovare l'uscita.

I sei episodi non sono discendenti diretti delle pagine di cronaca. La "mediazione" nasce dall'opera dello scrittore e giornalista Alex Perry, pubblicata nel 2018, "The Good Mothers: The True Story of the Women Who Took on the World's Most Powerful Mafia". Le storie però sono, purtroppo, vere. Crude. Di quelle che, anche quando vanno nel "migliore" dei modi, non conoscono lieto fine.

Tre buone madri
Vale la pena ricordarle, almeno brevemente. Tre madri. Lea, testimone di giustizia per sette anni. L'ex compagno e padre di sua figlia, Carlo Cosco, sapendola ormai fuori dal programma di protezione, riesce ad attirarla a sé. Succede a Milano. Lea viene quindi portata in un appartamento, uccisa e il suo corpo dato alle fiamme. Giuseppina, discendente della potentissima 'ndrina dei Pesce di Rosarno. L'unica ancora in vita. Maria Concetta, costretta a vivere sotto chiave nella propria casa dopo l'arresto del marito. Troverà il coraggio di scappare, ma tornerà indietro. E morirà dopo aver ingerito dell'acido cloridrico. 

La scelta dei registi Julian Jarrold ed Elisa Amoruso non ricade però sui momenti più cruenti. In "The Good Mothers" viene ritratta la violenza che li precede e li rende poi il finale delle rispettive storie. La vita nella gabbia che non si vede ma le cui sbarre si riflettono sul volto delle sue protagoniste. Perché a fare da traino al percorso della serie - che invero soffre, in alcune fasi, per un ritmo che di rado cambia di passo e per l'attesa, istintiva, di quegli attimi che non trovano spazio sullo schermo - sono le espressioni, le smorfie e gli sguardi di un cast calato alla perfezione nella parte.

A partire dalla conferma della giovanissima Gaia Girace. La sua è una Denise Cosco che si indurisce episodio dopo episodio. Ricacciata nella gabbia. Costretta a trovare dentro di sé le coordinate di quel mondo da cui la madre era riuscita a strapparla, dove le donne non sono padrone neanche delle proprie espressioni. È tutto in quel «Denise, tuo padre vuole vedere che sorridi» che un "amico" le dice. E risuona come un ordine e non (perché non lo è) come il desiderio di un padre amorevole.

La maschera di una tragedia reale
A bucare lo schermo però, più di tutto, è la prova di Valentina Bellè. L'attrice veneta arriva a stravolgere letteralmente i suoi lineamenti. A soffocare il suo sorriso. La sua Giusy è una maschera, ma incastrata in una tragedia reale. E il filone che la riguarda all'interno dell'intreccio narrativo è di conseguenza quello che finisce per catalizzare maggiormente l'attenzione di chi sta dall'altra parte dello schermo. È lei che emerge come "primo violino". Lei che libera lo diventa solo grazie alle manette.

Il suo mondo e il nostro si scontrano nei dialoghi che Giuseppina Pesce intrattiene con la procuratrice Anna Colace - ispirata alla figura del pm Alessandra Cerreti e interpretata da Barbara Chichiarelli (il volto di Livia Adami in Suburra). È il momento in cui, sotto la spinta (prima delle intenzioni e poi) del coraggio, il paradosso della libertà in gabbia inizia a sgretolarsi. In cui i confini di quel mondo, tanto piccolo, si fanno manifesti. Quando si sente dire dalla pm che «il tempo è mio, posso farci ciò che voglio», qualcosa nel suo personaggio cambia.

Donne che fanno paura
Quelle che sembrano - e in quel momento sono - parole di scherno, celano un altro significato. Aprono una breccia nella mentalità mafiosa della giovane donna, mentre la sua famiglia tenterà di sfruttare il suo essere madre come un guinzaglio per tirarla di nuovo a sé. Il tentativo, purtroppo non impossibile, di trasformare quella forza in una debolezza. "The Good Mothers" racconta di questo; del perché le buone madri fanno così paura alla 'ndrangheta.

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