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Vatican Girl, quelle ombre (dopo quasi 40 anni) fanno ancora paura

SERIE TVVatican Girl, quelle ombre (dopo quasi 40 anni) fanno ancora paura

24.10.22 - 15:30
Fare ordine in quel buco nero che è il caso Emanuela Orlandi è arduo. La docu-serie di Netflix ci riesce. Con destrezza
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Vatican Girl, quelle ombre (dopo quasi 40 anni) fanno ancora paura
Fare ordine in quel buco nero che è il caso Emanuela Orlandi è arduo. La docu-serie di Netflix ci riesce. Con destrezza

ROMA / CITTÀ DEL VATICANO - Il prossimo mese di giugno saranno trascorsi 40 anni esatti dalla scomparsa della giovane Emanuela Orlandi. Era il 22 giugno del 1983. Una giornata torrida, all'alba dell'estate. La quindicenne uscì di casa, tra le mura leonine della Città del Vaticano, per andare a lezione di musica. Poi una telefonata alla sorella. L'avviso che avrebbe tardato. E più nulla. Emanuela fu inghiottita da un'ombra. E proprio su quest'ultima, mai dissipata, agisce con il bisturi la docu-serie - targata Netflix - Vatican Girl. Non tanto facendo luce (oltre il possibile), quanto piuttosto ritagliando con precisione i contorni di quelle ombre che, affastellate una sopra l'altra, hanno reso la sparizione della giovane cittadina vaticana uno dei buchi neri più profondi nelle storie d'Italia e dell'enclave vaticana.

Ombre posticce che celano ombre vere
I quattro episodi, scritti e diretti da Mark Lewis - già autore dell'ottimo "Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online" - mettono in ordine 39 anni di fatti, ipotesi, false piste e testimonianze inedite. L'incubo della famiglia Orlandi, ritrovatasi - citando un parallelo evocato nella serie - al centro di quello che ha tutti i crismi per trovare spazio tra le pagine di un romanzo di Dan Brown. Al quale mancano però le ultime pagine. Quelle in cui viene raccontata la soluzione del caso. E che qualcuno tiene ben chiuse in qualche "cassetto".

Nel ripercorrere i capitoli noti dell'oscura vicenda, Lewis affida il ruolo di Virgilio ad Andrea Purgatori, cronista di razza che seguì da vicino il caso come inviato speciale del Corriere della Sera sin dai primi giorni dopo la sparizione di Emanuela. Dai giorni dei manifesti blu, con cui furono tappezzate le strade di Roma, all'appello che papa Giovanni Paolo II rivolse ai primi di luglio 1983, durante l'Angelus, ai «responsabili» della scomparsa. Lasciando intendere una conoscenza dei fatti che andava oltre a quanto accertato ai tempi. Quindi la pista dei Lupi Grigi. Le telefonate alla famiglia Orlandi da parte dell'Americano, che chiedeva la liberazione di Mehmet Ali Agca, il terrorista turco che due anni prima aveva attentato alla vita del Pontefice, quale contropartita per la liberazione della ragazza. Fino all'intricato crocevia di interessi che vedeva intrecciarsi, alle spalle di Emanuela, un ordito ricollegabile al crimine organizzato (con la Banda della Magliana in primo piano), lo scandalo del Banco Ambrosiano e lo stesso Vaticano. Una galassia senza luce.

Una volta diradate, nel limite del possibile, le nebbie di troppo (una su tutte quella legata a Marco Accetti, il sedicente rapitore di Emanuela - ritenuto inattendibile dai magistrati romani - che si mostra davanti alla telecamera con una sciarpa che ne oscura il volto ma non l'arroganza; quella che già aveva sfoggiato nel suo confronto televisivo con Pietro, fratello della scomparsa) a resistere come perno del mistero è l'ipotesi di un segreto scomodo che il Vaticano vorrebbe tenere sotto chiave. E su questo punto si incrociano le testimonianze raccolte da Sabrina Minardi, che fu l'amante del boss dei testaccini Enrico De Pedis; di un'altra donna, all'epoca amica della giovane, che suggerisce il coinvolgimento di un alto prelato della Santa Sede, che avrebbe rivolto a Emanuela attenzioni che l'avevano scossa profondamente; e le carte di cui è entrato in possesso il giornalista investigativo Emiliano Fittipaldi, esperto degli scandali, finanziari e non, che hanno toccato il Vaticano.

«Tutte le strade portano al Vaticano»
Su questo perno vanno a convergere, forti di una ricostruzione con ritmi da thriller, le convinzioni di tutte le voci interpellate nella docu-serie. Ne sono conviti gli addetti ai lavori. Ne sono convinti i familiari. Le sorelle e il fratello di Emanuela, Pietro, che si è detto «certo» che «in Vaticano conoscono la verità. Sanno cosa è successo quel giorno»; ricordando quando papa Francesco gli disse quelle, ormai famose, quattro parole: «Emanuela sta in cielo». Una scure sulla speranza. Ma «noi non smetteremo mai di cercarla». E a dimostrarlo, oggi, sono i manifesti blu - stessa grafica, ma con uno messaggio diverso - che sono ricomparsi, proprio in questi giorni, a Roma.

Proprio come potrebbe accadere, ripeschiamo il paragone, in un romanzo di Dan Brown, «tutte le strade - citando Andrea Purgatori - portano al Vaticano»; l'unica voce mancante - per scelta, non avendo voluto concedere interviste - tra quelle raccolte da Mark Lewis, che è stato magistrale nel tracciare un contorno visibile attorno a quelle ombre, pertinaci e inquietanti, che impediscono a questa (brutta) storia di scrivere, in qualunque modo, la parola fine.

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