L'ultima pellicola del regista, che racconta l'affaire Dreyfus con maestria, è un'opera che non merita davvero di essere così controversa
LUGANO - È molto difficile parlare dell'ultimo film di Roman Polanski, “L'ufficiale e la spia” (anche se il titolo originale è decisamente meglio: “J'accuse”) ignorando del tutto la tempesta che aleggia da tempo attorno al regista. Ed è un gran peccato perché il film è davvero un lavoro magistrale che rischia di venir intaccato da cose che, in fin dei conti, gli sono aliene.
Non è sempre semplice, in questi casi, separare l'artista dall'uomo anché perché “J'accuse” è un'opera sulla giustizia a ogni costo, sulle falle della legge, sull'antisemitismo e sull'onore.
È un film “buono”, perché tiene evidentemente le parti della vittima - ovvero quel Dreyfus del celeberrimo "affaire" - e rende lo zelante Georges Picquart (un impeccabile Jean Dujardin) un eroe da film d'altri tempi. E questo, per quelli che puntano il dito contro Polanski, è semplicemente un affronto.
Tornando al film, è importante puntualizzare che non si tratta affatto di un kolossal, per budget e intenzioni: minimale, quasi spartano, tanto nell'esposizione (fatta benissimo) di una vicenda non proprio semplice - ma che risuona attuale anche oggi - quanto nelle scelte di regia. Ispirato il cast (se potete, guardatevelo in francese) e bellissima la fotografia.
Da vedere? Questa volta, dirvelo, non spetta a noi.
“L'ufficiale e la spia” sarà nei cinema a partire da giovedì 21 novembre.