Confcommercio possibilista. I contrari: «Si perderebbero posti di lavoro». Di Maio precisa: «Ci sarà una turnazione»
ROMA - Sta facendo discutere, in Italia, la proposta rilanciata ieri dal vicepremier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, di porre fine alle aperture domenicali e festive illimitate di negozi e centri commerciali introdotta dal governo Monti nel 2011 con il decreto “Salva Italia”.
«Stanno distruggendo le famiglie italiane», ha dichiarato Di Maio domenica alla Fiera del Levante a Bari promettendo una legge entro l’anno. Travolto dalle reazioni al suo annuncio, però, oggi ha tenuto a precisare: «Non dico che sabato e domenica non si fa più la spesa, ci sarà un meccanismo di turnazione: resta aperto solo il 25% dei negozi, il resto chiude», ha dichiarato il ministro a La7.
I lavori per modificare la normativa inizieranno già questa settimana con l’arrivo, alla Commissione attività produttive della Camera, di ben cinque disegni di legge bipartisan e di iniziativa popolare. Tra di essi c'è quello della Lega, che - analogamente a quanto accade in Ticino - prevede aperture domenicali solo in dicembre e per altre quattro domeniche l’anno scelte dalle Regioni. E quella del MoVimento 5 Stelle, che di aperture domenicali ne prevede ben 12 con eccezioni per le destinazioni turistiche.
Confcommercio si dimostra possibilista, valutando l’eventualità di una regolamentazione «minima e sobria»: «Ridiscutere con atteggiamento non ideologico il ruolo della distribuzione è un primo passo importante e condivisibile- afferma il suo Delegato per le Politiche commerciali, Enrico Postacchini -. L'obiettIvo deve essere quello di evitare gli errori del passato e di valorizzare il nostro modello plurale fatto di piccole, medie e grandi imprese per assicurare il massimo del servizio e della qualità alle famiglie e ai consumatori». Per la Confederazione generale delle imprese, però, ogni nuova norma deve passare «attraverso il dialogo con le rappresentanze».
Per il sindacato Filcams-Cgil, da sempre contrario alle aperture, la liberalizzazione avrebbe avuto un effetto più negativo che positivo, causando «la chiusura di migliaia di negozi che non potevano sostenere aperture 24 ore su 24 e 7 giorni su 7»»
Molto meno entusiasta, invece, la grande distribuzione. Come Conad che, sentita dal Corriere della Sera, si dice preoccupata per le ricadute occupazionali: a rischio sarebbero 40-50mila posti di lavoro, paventa l’amministratore delegato, Francesco Pugliese.
Il decreto legge 201/11 “Salva Italia” del governo di Mario Monti ha introdotto la piena liberalizzazione degli orari dei negozi. Ora, anche a pochi passi dai confini ticinesi, commerci e supermercati non solo sono spesso aperti la domenica, ma lavorano in alcuni casi anche 24 ore su 24. Secondo Federdistribuzione, la domenica è diventata così il secondo giorno per incasso della settimana, con 19,5 milioni di persone che si accalcano a riempire i loro carrelli proprio in questo giorno.
Il “Salva Italia”, precisa l’organizzazione della distribuzione, avrebbe permesso l’erogazione di maggiori stipendi per 400 milioni di euro, equivalenti a 16mila posti di lavoro. A lavorare la domenica sarebbero del resto già 3,4 milioni di dipendenti italiani (il 20%), 2,2 milioni dei quali in servizi “non essenziali”. «Siamo da sempre favorevoli alle aperture domenicali e festive perché riteniamo siano un vero servizio per i cittadini, che ne avrebbero un danno se si dovesse tornare indietro dopo oltre 6 anni di liberalizzazione», scrive Federdistribuzione.