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MAROGGIALa storia di Desmond, affogato con il marchio di Nem

09.08.18 - 06:02
Il giovane africano morto nel Ceresio si era diplomato alla Spai con alti voti e aveva lavorato come asfaltatore. Fino al rigetto della sua richiesta come richiedente l’asilo
La storia di Desmond, affogato con il marchio di Nem
Il giovane africano morto nel Ceresio si era diplomato alla Spai con alti voti e aveva lavorato come asfaltatore. Fino al rigetto della sua richiesta come richiedente l’asilo

MAROGGIA - È una storia d’acqua e d’asfalto quella di Desmond Richard, il ragazzo africano annegato domenica pomeriggio nel Ceresio, a pochi metri da riva, davanti all’ex collegio don Bosco. Una storia di amicizie, integrazione e anche tristezza, perché è ingiusto morire a 27 anni. Integrazione è la parola chiave per capire la sua vita, frettolosamente archiviata come la vicenda di un richiedente l’asilo finito male. Anzi ex richiedente, dopo che la Segreteria di Stato della migrazione lo scorso anno aveva deciso per l’espulsione. Desmond era un “NEM”, l’autorità federale gli aveva chiuso la porta in faccia col sigillo della “non entrata in materia”. Stop, da quel giorno la Svizzera gli ha voltato le spalle.

Una decisione che fa a pugni col fatto che Desmond era perfettamente integrato. Non opinioni, ma fatti: a partire dal diploma, ottenuto con il cinque e mezzo di media nonostante le difficoltà in italiano, alla Spai di Mendrisio come “costruttore stradale”. Qualificato, perché la formazione triennale gli aveva permesso di ottenere l’attestato federale di capacità.

Un lavoratore molto capace e apprezzato, come lo ricorda un collega della ditta di asfaltatura, la Cogesa, dove ha lavorato fino al luglio dell’anno scorso. Un lavoro duro, quello dell’asfaltatore, che gli permetteva però di essere autosufficiente. Pagava la sua cassa malati (quanti integrati lo fanno?) e contribuiva col 10 per cento del salario al fondo per la migrazione. Intanto riusciva a mettere da parte anche dei risparmi.

Desmond aveva un caratteraccio, dicono quelli che gli hanno voluto bene. Poteva mandarti allegramente a quel paese e questi sbalzi, accompagnati da un’aggressività solo verbale, sarebbero stati anche, ma qui avvertiamo il lettore ci siamo fermati, all’origine dei suoi ricoveri all’Osc di Mendrisio. Fino all’ultimo, quello finito tragicamente durante l’uscita a bordo lago a Maroggia con altri pazienti e accompagnatori. Fin qui i fatti, perché il lato più drammatico della vita di Desmond racconta di una madre morta, anzi uccisa, davanti agli occhi di lui bambino, durante l’esodo verso l’Europa. Non amava riaprire quella ferita, e forse molti dei suoi problemi attuali erano riconducibili a quel trauma.

Persa tragicamente la mamma, mai conosciuto il padre, Desmond era convinto, sino allo scorso anno, di essere originario del Benin.

Ma qualcosa non quadrava, dal momento che la sua lingua non era il francese (la parlata ufficiale di quel Paese), ma l’inglese. Un mistero che è stato risolto solo lo scorso anno, quando in un consolato africano di Zurigo Desmond ha scoperto le sue radici: Benin sì, ma Benin City, una popolosa città della Nigeria. E la provenienza nigeriana sarebbe diventata uno degli ostacoli per il riconoscimento quale richiedente l’asilo.

Così, gravato da un decreto di espulsione che lo invitava a lasciare la Svizzera, il giovane aveva ottenuto qualcosa che poteva permettergli di rifarsi un’altra vita altrove. Un passaporto nigeriano. Un pezzo di carta che purtroppo non gli servirà più a niente.

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