Nella giornata contro la violenza sulle donne raccontiamo il dramma di una 30enne ticinese e di suo figlio. Picchiata dal marito, è finita in un appartamento protetto. L’esperta: «Due casi al giorno»
LUGANO - Una lite furibonda col marito. La mano di lui che la prende per il braccio, causandole brutte contusioni. Le urla, i pianti. L’allarme e l’arrivo della polizia. Storia drammatica quella di S.B., 30enne di Bellinzona, e di suo figlio. La donna trova il coraggio di denunciare il marito. Ma nel frattempo le autorità la portano col piccolo in un appartamento protetto. «Mi hanno nascosta per un mese col bambino - racconta -. A livello psicologico sono ancora scossa».
Strage domestica - La violenza sulle donne è sempre più una realtà in Svizzera: ogni due settimane, in media, ne viene uccisa una. In Ticino gli interventi della polizia per violenza domestica sono circa 700 all’anno. E nella maggior parte dei casi le vittime sono di sesso femminile. «Dai rapporti di polizia - evidenzia Linda Cima Vairora, presidente di Armonia, una delle due associazioni ticinesi che si occupano di donne maltrattate - risultano due interventi al giorno per questioni simili».
Anonimato garantito - Non tutte le donne però chiedono di essere trasferite in una casa d’accoglienza. «Noi, in ogni caso, non riveliamo mai l’indirizzo delle nostre strutture protette. Proprio per garantire la massima sicurezza ai nostri ospiti».
Recidivo - Ci ha messo diversi giorni, per farsi capire, S.B. Dopo l’episodio di violenza, verificatosi a inizio gennaio in seguito a una discussione sull’imminente divorzio della coppia, la giovane donna ha sempre vissuto nella paura. «Dopo avermi messo le mani addosso, mio marito se n’è andato, lasciandomi da sola con mio figlio. Non era la prima volta che mi trattava così. Nel corso dell’ultimo anno gli episodi si erano fatti frequenti».
Coraggio - La sfortunata madre va al pronto soccorso e in polizia. «Ho avuto tanta paura che tornasse. Ne parlavo con gli agenti. Ma all’inizio non mi prendevano sul serio. A un certo punto ho preso coraggio e ho chiamato una struttura che si occupa di accogliere le donne vittime di violenza».
L’appuntamento - E così, a quattro giorni dai fatti, S.B. e suo figlio si trasferiscono in un appartamento protetto del Locarnese. «Un’operatrice ci ha dato appuntamento in un luogo prestabilito. Una volta arrivata alla struttura ero molto tesa. Non sapevo come sarebbe andata a finire».
Le regole della casa - La giovane donna racconta la vita all’interno dell’appartamento protetto. «Ognuno ha la sua stanza. Il resto degli spazi è in comune. Le operatrici ci hanno subito spiegato le regole della casa, sottolineando che ogni due giorni ci avrebbero portato la spesa. Erano persone con cui ti potevi sfogare».
Giorni disperati - Nel frattempo il marito di S.B. riceve l’ordine da parte delle autorità di consegnare le chiavi dell’appartamento. Dopodiché non potrà più mettervi piede. «Ho trascorso diverse settimane in ballo con polizia e avvocati, senza potere tornare a casa. Mio figlio di giorno veniva portato a scuola. E io in sua assenza cercavo di sistemare la situazione».
Giovani madri - All’interno dell’appartamento protetto S.B. conosce altre giovani donne nella sua stessa condizione. «L’ambiente era davvero famigliare. Ricordo due giovani madri quasi massacrate dai rispettivi uomini. Sono cose terribili. E io capisco quelle donne che hanno paura di parlare, di denunciare. Ma non vale la pena temporeggiare».
Lotta per la normalità - Ora S.B. è finalmente tornata al suo domicilio. Suo marito, invece, ha il divieto da parte delle autorità di avvicinarsi all’abitazione. «Ci hanno cambiato le serrature. Il timore però resta sempre. Vivi nell’inquietudine. Presto ce ne andremo, cambieremo appartamento e zona. Io e mio figlio vogliamo ricominciare».
Costi esorbitanti - L’allarme violenza è scoppiato già da qualche anno nella Svizzera italiana. Anche perché i costi legati al fenomeno, stimati tra i 164 e i 287 milioni di franchi all’anno, aumentano sempre di più per lo Stato. Eppure, nonostante gli appelli, la situazione resta drammatica. «La popolazione è aumentata - fa notare Cima Vairora - e di conseguenza è cresciuto anche il numero di situazioni difficili. Sicuramente il momento congiunturale che stiamo attraversando, con disoccupazione e problematiche di dipendenza, può fare degenerare un contesto famigliare già molto problematico».
Diritto di farsi aiutare - L’esperta psicoterapeuta, tuttavia, mette in evidenza anche un aspetto fondamentale. “La violenza domestica - conclude - non è più considerata una questione privata. Bensì un reato punibile dalla legge. Da qualche anno è iniziato a passare il messaggio che in caso di bisogno si ha il diritto di chiedere aiuto».