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ESCLUSIVALa F40 di Clay Regazzoni

14.11.14 - 09:00
Alla guida di un'icona automobilistica appartenuta ad una persona altrettanto leggendaria
Foto: Davide Saporiti
La F40 di Clay Regazzoni
Alla guida di un'icona automobilistica appartenuta ad una persona altrettanto leggendaria

LUGANO - Normalmente non sono una di quelle persone che credono negli spiriti, nei fantasmi, nel paranormale. Però nel momento in cui ho chiuso la portiera e afferrato quel volante, ancora a motore spento, mi è sembrato di avvertire una sorta di presenza, di occhio vigile, quasi venissi sovrastato da una responsabilità più ingombrante del solito, interrotta da un breve ma profondo respiro, non appena metto in moto il motore che sta alle mie spalle tramite un pulsante ricoperto in gomma. È il peso della storia. Non solo di una storia qualsiasi, quella della F40, già di per se sufficientemente rappresentativa. Perché questa F40 non è uguale alle altre: questa è la Ferrari F40 di Clay Regazzoni.

È una faccenda molto complicata, altamente rischiosa, quelle occasioni da “una volta nella vita” che vuoi goderti appieno e al tempo stesso dimostrare che sei all’altezza della situazione. Un esame di maturità. Anche se muovendo i primi metri sembra più un esame per i muscoli dei tuoi arti inferiori, tanto è pesante la frizione. Servono quadricipiti e polpacci ben allenati, e anche se lo sono arriverete comunque a fine giornata che la corsa serale, inevitabilmente, andrà rimandata al giorno successivo. Si fa di tutto per evitare di guidarla in città, scansando le zone 30 e affrontando i dossi rallentatori con la preoccupazione che ogni occasione è valida per “grattare” il sottoscocca. Ma quando imbocchiamo il tunnel Vedeggio – Cassarate per poi prendere l’autostrada e dirigerci verso i passi alpini, vediamo letteralmente la luce in fondo al tunnel.

In autostrada già a cento chilometri orari è difficile conversare, tanto che alla fine ci si rinuncia. Abbassando i finestrini curiosamente la rumorosità non aumenta. Pur non essendo un centro benessere trascorrere un po’ di tempo al suo interno non è così scomodo come la vera natura della F40 farebbe pensare. È semplicemente la guida (anche quella banale da autostrada elvetica) ad essere stancante per la sua fisicità. E tutto quel rumore, dopo un po’, rischia anche di far venire il mal di testa. Però questo non si fa sentire perché la tua mente e i tuoi occhi fanno quasi fatica a familiarizzare con tutto quel carbonio, fibra di vetro e kevlar – rigorosamente a vista – utilizzato per rinforzare il tradizionale telaio tubolare che da forma alla cellula dell’abitacolo nonché alla sezione posteriore. Fai quasi fatica ad appoggiarci i piedi, a sfiorarlo con il gomito, con l’infondata paura della fragilità, sebbene sappiamo tutti che questo mix di materiali ha permesso alla Ferrari di risparmiare il 20 % della massa guadagnando una resistenza tripla rispetto ai normali metalli altrimenti utilizzati. La carrozzeria in fibra di vetro, messa per intero su una bilancia, segna appena 46 chili. Davanti ai tuoi occhi l’indicatore di velocità, il contagiri, la temperatura dell’olio e la pressione si sovralimentazione: tutto ciò che serve per guidare. Il resto è tutto a lato, in secondo piano: pressione dell’olio, temperatura dell’acqua e livello del carburante. La riduzione del peso è stata presa talmente sul serio che le porte si aprono e si chiudono con una stringa. L’abitacolo è spoglio, nel vero senso della parola, e non vorresti che fosse diversamente perché è proprio così che te l’aspetti ed è proprio così che riesce a rispecchiare la filosofia e il carette dell’automobile. Un’automobile che, alla fin dei conti, era capace di far segnare sulla bilancia appena 1'110 kg. A fronte di una potenza, 478 cavalli, mica da ridere.

Che la F40 sia un’icona, un mito anzi una leggenda, è chiaro a chiunque. Anche a chi non è appassionato di automobili. Te ne accorgi quando nella tua biblioteca non vi sia volume automobilistico che non le dedichi almeno due pagine, quando anche un bambino delle elementari (che sicuramente non ha vissuto nella stessa epoca del sottoscritto e quindi non è necessariamente cresciuto con il “Mito F40”) indica e urla “Guarda: una Ferrari!”. Non vi sono dubbi nemmeno sul fatto che questa non solo sia ancora oggi la Ferrari più rappresentativa di tutti i tempi, ma addirittura che venga considerata quasi all’unanimità l’automobile. La Ferrari. Tanto che le voci che circolano su di lei hanno l’aria mistica, quasi si narrasse di una leggenda o di un mostro indomabile. In un certo senso questo è vero, ma per gran parte della giornata sono stato più in apprensione dai racconti sul suo comportamento che dal suo stesso comportamento. A cominciare dal propulsore. Perché è vero: questo V8 da poco meno di tre litri, in basso, non dice proprio nulla. L’ago del contagiri va portato oltre quota 4'000 e solo allora le due turbine IHI si risvegliano incollandoti nei contenitivi sedili a guscio con una spinta lineare fino al raggiungimento della zona rossa, ma non così esplosiva o imprevedibile come spesso si racconta. Quando ci si trova nei regimi nobili la spinta viene interrotta unicamente dal cambio di rapporto, operazione che richiede una certa dimestichezza tra il pedale della frizione pesante e la legnosità del cambio scenograficamente (per non dire pornograficamente) incorniciato nel selettore a griglia scoperto. La coppia che surclassa la potenza le da una certa modernità nel suo continuo a lanciarsi verso l’orizzonte come un aereo in fase di decollo, con l’unica differenza che oltre una certa velocità l’effetto suolo inizia a farsi sentire ancorandola per bene alla terra ferma. L’iconico alettone posteriore, le prese d’aria, i convogliatori, gli sfoghi, gli estrattori sono lì a testimoniare l’elevata importanza data all’aerodinamica, che di fatto è studiata talmente bene perché oltre all’effetto suolo anche nell’uso intenso né l’acqua e tantomeno l’olio tendono a scaldarsi più di tanto. Rassicurante.

Il problema di tutta questa potenza è semmai come gestirla quando, davanti, a me, appaiono le prime curve. E, anche qui, scopro che la sua fama tende sempre e impensierirti più del dovuto. Meglio così che l’inverso, sia chiaro, ma resto stupito quando la sento subito neutra, ben incollata al suolo. Scoprendo poi che la sua intuitività (passatemi il temrine) deriva proprio dal fatto che l’intera auto comunica con te senza alcun filtro. Da fiducia e pian piano riesci a familiarizzare. Il grip è bello meccanico, il baricentro lo percepisci molto, molto in basso. Lo sterzo, privo di servo assistenza, è pesantissimo e al tempo stesso direttissimo: bastano pochi gradi di angolo per infilarla da una curva all’altra senza esitazioni e senza interpretazioni da parte di chi guida per la variabile “servoassistenza”. Il difficile, semmai, arriva nel momento in cui in uscita di curva bisogna gestire con sensibilità l’ingresso della turbina nel regime di spinta. Da questo punto di vista sono contento di non averla guidata sul bagnato. Anzi: forse non ci proverei nemmeno. La curva finisce, l’acceleratore si abbassa, la pressione sale, il volante si apre e poi si alleggerisce proprio come l’avantreno, che punta a metà strada tra l’orizzonte e il cielo. Rapporto dopo rapporto. Il suono, a dir la verità un po’ cupo – tipico dei sovralimentati – e non proprio caratteristico per un V8, ricorda una Ferrari solo parecchio in alto. Sembra qualcosa di esclusivo, che successivamente alla 288 GTO (da cui, entro certi termini, la F40 deriva) sia stato destinato apposta per lei. È infatti uni nel suo genere. Pensate inoltre ad immaginare la sorpresa quando, in rilascio o in discesa, vieni colto alla sprovvista da frequenti botti di una tale violenza da sembrare le mine in azione nelle cave di granito. Cosa è successo? Niente: lo scarico si diverte a “sputare” lunghe fiammate.

È un groviglio di emozioni quello che accompagna la guida della F40 per le prime decine di chilometri di guida “vera”. Poi devi fermarti a bere un caffè, prenderti una pausa, parlarne con chi è vicino, fare due passi, osservarla di nuovo, riordinare le idee. Poi salire di nuovo a bordo, mettere in moto e cercare il tuo ritmo. Indipendente da quanto elevato questo sia, non c’è niente di più bello che sapere che si tratta solo ed esclusivamente di opera tua. I freni per esempio hanno una grande efficacia e una modulabilità pari a quelle di impianto da corsa, ma quanto tu riesca a sfruttarli dipende unicamente dal pelo che hai sullo stomaco, dalle tue abilità di guida e da quanto forte sia la tua gamba. Lo stesso vale nelle curve strette in cui l’ingresso è tendenzialmente sottosterzante: basta premere l’acceleratore in anticipo rispetto al punto di corda per farla diventare neutra, per sentirla in perfetto equilibrio, in punta di piedi. Serve anche sensibilità. Tanta sensibilità. A quel punto puoi accompagnarla in quello che può facilmente diventare un sovrasterzo – peraltro abbastanza gestibile, se ci si sa fare. Impagabile la concentrazione, l’impegno, la sensibilità impiegata nella guida. Impagabile la consapevolezza, arrivati in vetta, di esserci riusciti con le proprie mani, con i propri piedi, con la propria mente. E a quel punto pensi a Nicola Materazzi, responsabile ingegneristico, il quale probabilmente avrebbe assai piacere a sentire quanto la F40 sia, ai miei occhi, moderna nonostante di fatto sia solo analogica. Pensi a Leonardo Fioravanti, allora responsabile dello stile presso Pininfarina, ringraziandolo per un’automobile che è favolosa da qualsiasi angolazione la si guidardi e qualsiasi dettaglio si osservi. Pensi a Enzo Ferrari poiché questa è stata l’ultima automobile che lui, ormai ottantanovenne, ha presentato il 21 luglio 1987 verso le 11 di mattina presso il Centro Civico di Maranello, spirando l’anno successivo. Ma in particolare pensi a Clay, sperando che sia almeno un po’ fiero di quello che oggi hai fatto al volante di quella che molto probabilmente è stata la sua automobile preferita. Un peso storico enorme, quello che grava su quest’auto. Un’automobile che ogni volta in cui viene messa moto sembra far rivivere ognuno dei suoi protagonisti.

 

SCHEDA TECNICA

MotoreV8, biturbo
Cilindrata2'936 cc
Potenza478 cv @ 7'000 giri/min.
Coppia477 Nm @ 4'000 giri/min.
TrasmissioneCambio manuale a 5 rapporti, trazione posteriore
Massa a vuoto1'100 kg
Accelerazione 0-100 km/h4,6 secondi
Velocità massima321 km/h
Periodo produzione1987 - 1992
Unità costruite1'211
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