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ATEDSmart working: un po’ meno

18.09.23 - 08:30
Un numero sempre maggiore di grandi aziende sta chiedendo a lavoratori e lavoratrici di tornare in ufficio
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Fonte ATED
Smart working: un po’ meno

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Un numero sempre maggiore di grandi aziende sta chiedendo a lavoratori e lavoratrici di tornare in ufficio

È retromarcia sullo smart working. Molte imprese oggi in numero sempre più crescente stanno invitando i propri collaboratori e collaboratrici a ritornare in ufficio. A partire dalla stessa Zoom, il
colosso delle videoconferenze, che proprio grazie al lavoro da remoto ha visto il suo business decollare e crescere enormemente in epoca Covid.

Si tratta di una scelta che, come osserva Wired: «Va contro la volontà di gran parte dei dipendenti e le ricerche di enti statali, che vedono nello smart working una possibilità per affrontare la crisi abitativa e ridurre le emissioni inquinanti. Tuttavia, molte società, tra cui, sembra paradossale, quelle tecnologiche, vedono nel ritorno in sede l’unico modo per tenere sotto controllo i propri dipendenti e ottenere i rendimenti
desiderati».

Va anche detto che non si hanno prove che ritornare in ufficio aumenti effettivamente la produttività. Peraltro, l’ultima analisi riportata dal Wall Street Journal indica che ci sarebbero circa 12 minuti in più di produttività al giorno per i lavoratori in sede, rispetto a che lavora da casa. Un risultato a favore di questa ipotesi di rientro, ma non così dirompente.

Al contrario Bloomberg riporta i risultati di un’altra ricerca, che indica come lavoratrici e lavoratori in smart working siano il 13% più produttivi dei colleghi in sede. La lista di risultati contrastanti può
andare avanti ancora a lungo, ma il risultato è lo stesso: al momento non ci sono prove che decretino un vincitore definitivo dell’una o dell’altra opzione.

Nel frattempo, in molte aziende sullo smart working si fa dietrofront. A maggio l’amministratore delegato di OpenAi, Sam Altman, ha definito su Futurism lo smart working uno dei «peggiori errori dell’industria tecnologica da molto tempo a questa parte», puntando il dito contro il lavoro da remoto come dannoso per la creatività.

Contro lo smart working per i suoi dipendenti, fissando almeno 40 ore settimanali in sede, è stato Elon Musk, che ha definito il lavoro in ufficio come «non facoltativo» e si è beccato una denuncia da alcuni dipendenti con disabilità per discriminazione sul luogo di lavoro, dopo aver minacciato di licenziamento chi non fosse tornato in sede, si legge su Reuters.

Poi è stato il turno di Disney, che ha imposto lavoratori e lavoratrici a tornare per almeno quattro giorni a settimana in sede, sostenendo che le persone «hanno bisogno di stare fisicamente insieme», come ha spiegato l’amministratore delegato Bob Iger sulla Cnbc. Anche Google ha richiesto tre giorni in ufficio, ma ha però sottolineato come una presenza maggiore sarebbe stata valutata positivamente, riporta il Wall Street Journal.

Discorso analogo anche per i dipendenti di Meta, casa madre di Facebook, Instagram e WhatsApp, e di Apple, dove i dipendenti hanno provato a respingere il rientro obbligato con una petizione in cui sostenevano di essere «più felici e produttivi» lontani dall’ufficio, si legge sul sito del sindacato Apple Together. Purtroppo, come riferisce sempre Wired non hanno avuto successo. Ma a sconvolgere davvero il mondo del lavoro è stata la marcia indietro di Zoom, le cui call e funzionalità sono state fondamentali per il successo dello smart working a livello globale durante la pandemia.

Il gruppo ha guadagnato miliardi offrendo ad aziende e istituzioni la sua piattaforma. Ad agosto, però, l’amministratore delegato Eric Yuan ha usato la scusa della creatività e della fiducia per richiamare i dipendenti in ufficio, secondo quanto riporta Business Insider.

Tra le aziende che hanno dato priorità assoluta al lavoro in ufficio, il cosiddetto office-first, si trovano Netflix e Goldman Sachs, che hanno tra le politiche più stringenti e restrittive per il lavoro da remoto. Mentre tra chi predilige un sistema ibrido, con smart working e tempo in presenza, si trovano Microsoft, Revolut, Spotify, Grammarly. Infine, tra chi ha dato priorità allo smart working, il cosiddetto remote-first, si trovano AirBnb, Slack, Dropbox o Deloitte.

ated-Associazione Ticinese Evoluzione Digitale
ated è un’associazione indipendente, fondata e attiva nel Canton Ticino dal 1971, aperta a tutte le persone, aziende e organizzazioni interessate alle tecnologie e alla trasformazione digitale. La sua missione è formare alla tecnologia e creare sinergie che portino valore aggiunto al tessuto economico e sociale del cantone, facilitando la realizzazione di progetti innovativi e visionari. Dal suo esordio, organizza manifestazioni e promuove innumerevoli occasioni di confronto e dibattito, conferenze, giornate di studio, visite e viaggi tematici, workshop, corsi di formazione per professionisti e iniziative di alfabetizzazione sull’utilizzo delle tecnologie al servizio delle persone.

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Questo articolo è stato realizzato da ated - Associazione Ticinese Evoluzione Digitale, non fa parte del contenuto redazionale.
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