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La digitalizzazione come base imprescindibile per l’uso dell’AI

Due fenomeni connessi, anche se lo si scorda
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Due fenomeni connessi, anche se lo si scorda

Dopo aver messo il concetto di digitalizzazione al centro di ogni processo di evoluzione aziendale e di istituzioni private e pubbliche, ora il termine sembra quasi passato in disuso. La spinta è verso l’intelligenza artificiale: temuta da chi vede in essa un possibile sostituto della sua professione, desiderata da chi crede di poterla utilizzare per risolvere problemi, poco conosciuta a molti che pensano erroneamente che il suo utilizzo si limiti a un prompt, magari quasi casuale, su ChatGPT o Gemini. Si scorda però spesso che non può esistere una implementazione dell’AI senza un processo compiuto di digitalizzazione e che in diversi settori la sua mancanza impedisce di introdurre le nuove tecnologie. In altri campi ne sono invece consapevoli e stanno accelerando, pur senza dirlo, il procedimento, al fine poi di poter puntare davvero anche sulle novità in merito all’intelligenza artificiale. La figura del Digital Collaboration Specialist si inserisce in questo snodo.

Digitalizzazione: non solo tecnologie ma una rivoluzione del modo di lavorare
Per spiegare il nesso tra i due processi, è bene ricordare che cosa si intende con il termine digitalizzazione. È letteralmente l’impiego di tecnologie digitali a favore di un nuovo modello di business per creare opportunità di ricavo e valore. È la trasformazione di un’azienda in un’impresa digitale e comporta l’uso di tecnologie digitali e di dati per far evolvere i processi aziendali, dando vita a un ambiente in cui l’informazione digitale è centrale. Ben si capisce come non si ha a che fare solamente con una profonda innovazione tecnologica, dall’analogico al digitale, con il passaggio ad esempio dall’uso di carta, telefoni e presenza fisica a file per la gestione contabile, software di connessione informatiche e piattaforme per videocall, ma di una profonda trasformazione ed evoluzione del modo di lavorare. Ha velocizzato e semplificato una serie di processi e di atti ripetitivi, non andando a sostituire le persone ma a affiancarle, facendo evolvere in modo profondo molte tipologie di professioni: restando sull’esempio, il contabile non calcola più manualmente introiti e fatturati ma li ricava da file Excel o da software di fatturazione, come il celebre Banana e altri.

Perché non esiste AI senza digitalizzazione
Già in questo passaggio si nota una forte analogia con quanto sta accadendo ora con l’avvento dell’intelligenza artificiale: essa non dovrà andare a soppiantare ruoli, professioni e capacità umana ma deve diventarne sempre più un valido alleato. Ma facendo un passo indietro, l’AI non può essere usata senza una compiuta digitalizzazione, semplicemente perché ne mancherebbero le basi. La digitalizzazione si basa su informazioni digitali, quindi dei dati, che quando è partito il processo sono stati trasferiti da supporti analogici a supporti digitali o ricavati ex novo appositamente, aggiornati e arricchiti col passare del tempo. L’intelligenza artificiale per poter essere impiegata per semplificare processi ripetitivi, di azioni pericolose, in ottica predittiva per verificare l’andamento di un mercato e delle sue tendenze, di una catena produttiva e individuarne errori e guasti, o per personalizzare delle offerte, deve partire da una serie di dati. Non può, ad esempio, comprendere se una macchina funziona correttamente se non ha una banca dati che le dice cosa significa il funzionamento ideale. Al contempo, non è possibile creare delle offerte ad hoc per gruppi di clienti se non si sa nulla delle loro abitudini. L’AI generativa viene addestrata tramite l’inserimento di una enorme quantità di dati, in modo da rilevarne gli schemi e imparare ad applicarli a situazioni e basi di partenza differenti. Qualsiasi tipologia di intelligenza artificiale lavora su dati, combinandoli e svolgendo così la sua funzione. Senza una digitalizzazione che li mette a disposizione in modo efficace, efficiente e continuo, è come un’auto senza carburante: potenzialmente di grandissimo aiuto, ma incapace di partire.

Il ritardo di chi ora deve effettuare due processi in uno
Chi non ha mai implementato in maniera organica gli strumenti digitali, favorendo una cultura e una formazione continua nei suoi dipendenti, ora rischia di rimanere indietro anche con l’uso dell’intelligenza artificiale. Essa non può operare non solo senza dati ma anche senza infrastrutture digitali efficaci, a partire da reti, cloud e database. Non ha modo di poter essere usata se non all’interno di un ecosistema digitale. I settori che non hanno completato la digitalizzazione o lo hanno fatto con approssimazione si ritrovano a dover accelerare per poter usufruire delle possibilità dell’AI, col gap però di infrastrutture e culture realizzate in breve tempo e senza possibilità di sperimentare e correggere. Se si pensa di poter saltare le fasi passando direttamente all’intelligenza artificiale si sbaglia e si andrà incontro a investimenti poco efficaci. Anche nella formazione, non si può pensare di imparare a usare in modo professionale e produttivo l’AI senza una cultura della digitalizzazione, come è vero che ogni figura che opera nel digitale non può prescindere dal formarsi sulle evoluzioni.

Il ruolo del Digital Collaboration Specialist: ponte tra due evoluzioni
Una professione che diverrà centrale, perno di collegamento e di evoluzione tra rivoluzione digitale e intelligenza artificiale, è quella del Digital Collaboration Specialist, col compito di supportare aziende e team nel loro lavoro nel digitale. Li aiuta a implementarlo al meglio, nella maniera più congrua col loro settore e con le loro esigenze, progettando processi più fluidi grazie a tecnologie che conosce perfettamente (da piattaforme come Microsoft e Google Workspace a tool come Asana, Notion o altre suite di programmi sino a specifici software aziendali). Si occupa anche di affiancare la formazione professionale nel digitale di tutti i collaboratori, trovando le vie migliori per far coesistere uomo e macchine. La conoscenza dell’AI si inserisce tra i requisiti: non solo sarà la figura in grado di dar vita all’impalcatura digitale delle aziende ma anche di inserirvi le novità.

La formazione in Digital Collaboration Specialist, un’occasione di carriera su cui punta anche Berna
Ated organizza a partire dal 2026 una formazione della durata di 18 mesi, frequentabile anche mentre si lavora, con una modalità ibrida tra presenza e online. È adatta a chi opera nel digitale e vuole diventare il vero protagonista delle strategie digitali e dell’uso professionale di prodotti digitali e di comunicazione, un ponte tra digitalizzazione e uso dell’AI. Sarà finanziato al 50% dalla Confederazione, segno di come figure che guardino alle innovazioni più recenti senza scordare l’importanza della trasformazione digitale siano ritenute fondamentali per gli anni a venire. Ogni azienda che vorrà stare al passo coi tempi e inserire tecnologie digitali e di intelligenza artificiale nei suoi processi ricercherà professionisti con un know how simile, rendendo la carriera appetibile e con sicuri sviluppi. L’attestato federale consente poi di proseguire divenendo Digital Officier, Back office Manager, Management Support, informatico aziendale, Manager o ICT Security Expert, oltre che frequentare vari corsi di laurea o formazione continua universitari.

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Questo articolo è stato realizzato da ated - Associazione Ticinese Evoluzione Digitale, non fa parte del contenuto redazionale.
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