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SOCIETÀPerché amiamo i selfie?

05.09.23 - 06:30
Lo svela la scienza con una ricerca. E c'è chi si ammala di "selfite" un vero e proprio disturbo mentale.
IMAGO
Un selfie che divenne virale: Ellen DeGeneres con altre star la notte degli Oscar nel 2014.
Un selfie che divenne virale: Ellen DeGeneres con altre star la notte degli Oscar nel 2014.
Fonte Luca Fusco
Perché amiamo i selfie?
Lo svela la scienza con una ricerca. E c'è chi si ammala di "selfite" un vero e proprio disturbo mentale.

Chissà cosa penserebbe oggi Robert Cornelius, famoso fotografo di inizio 800, che nel 1839 scattò il primo autoritratto fotografico. Chissà cosa direbbe nel sapere che oggi non esiste persona che non si abbia almeno una volta nella vita scattato un selfie. Anzi, di più. Secondo il sito Eksposure ogni anno in media una persona fa più di 450 selfie all’anno. Dati impressionanti se prendiamo in considerazione il sito di grafica e fotografia Photutorial, secondo il ogni anno in tutto il mondo vengono scattati 1,81 trilioni di foto.  Facendo due calcoli sono circa 57.200 fotografie al secondo. La maggior parte (95.5%) viene scattata con un cellulare. Solo il 7% con le classiche macchine fotografiche.

Ecco cosa dice la scienza - Ma da dove nasce tutta questa voglia di scattarsi selfie? La scienza ci viene in aiuto grazie a uno studio di recente pubblicazione condotto da Zachary Niese dell'Università di Tubinga e pubblicato sulla rivista peer-reviewed Social Psychological and Personality Science.

Lo studio in sostanza è arrivato alla conclusione che le foto che includono colui che le scatta possono permetterci meglio di "catturare il significato" di un momento, invece del solo ricordo fisico delle classiche foto. 

Partiamo da una domanda: immagina di mangiare il pasto dei tuoi sogni e di voler commemorare il momento: dovresti scattare una foto del cibo da solo o fare un selfie con il tuo partner mentre mangi? La ricerca suggerisce che le persone usano la fotografia in prima persona, scattando una foto della scena dal proprio punto di vista, quando vogliono documentare un'esperienza fisica, ma optano per le foto in terza persona, che ritraggono se stessi nella scena (come i selfie), per cogliere il significato più profondo degli eventi.

Esperienza fisica o significato profondo - Allo studio hanno preso parte 2100 partecipanti e dai loro comportamenti se ne deduce che la prospettiva fotografica più efficace dipende dall'intenzione della persona: ci sono quelli che vogliono catturare un'esperienza fisica e quelli che contano sul significato più profondo di un evento. 

Nel momento in cui è stato fornito loro uno scenario ipotetico, ad esempio una giornata al mare con un amico, gli è stato chiesto quanto fosse importante per loro commemorare l'evento e in che modo. Coloro che hanno affermato che l'evento aveva un significato più alto  erano più propensi a scattare una foto in terza persona, quindi un selfie, piuttosto che in prima persona.

Una scelta consapevole - Ai partecipanti sono state mostrate due foto dello stesso evento - una in prima persona, una in terza persona - e gli è stato chiesto di valutare il significato dell'evento, nonché se avrebbero fatto una scelta diversa, selfie o non selfie. Quando ai partecipanti è stato detto che l'obiettivo era replicare l'esperienza fisica dell'evento, hanno scelto più spesso una prospettiva in prima persona ed erano più propensi a scegliere una prospettiva in terza persona quando gli veniva detto di dare la priorità al significato. Considerazioni che hanno portato alla conclusione che il selfie è una scelta consapevole, non dettata solo dalla moda del momento. 

Noi, malati di "selfite": tra acuta e cronica
Il selfie negli ultimi tempi ha non poco stimolato gli studi. Non è nemmeno troppo datata, 2022, la ricerca di alcuni psicologi della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management in India, che in uno studio pubblicato sull'International Journal of Mental Health and Addiction, hanno esaminato il bisogno ossessivo di postare selfie, definito 'selfite' secondo un termine coniato nel 2014, come un vero e proprio disturbo mentale. Ne hanno identificato tre categorie: cronica, acuta e borderline.

Cronica quando vi è un incontrollabile bisogno di scattare foto a sé stessi, 24 ore su 24, postandole sui social più di sei volte al giorno; borderline se si scattano selfie almeno tre volte al giorno, ma senza condivisione social, mentre è acuta se si fanno molti autoscatti e tutti poi sono effettivamente pubblicati online.

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COMMENTI
 

Paolo73 7 mesi fa su tio
"non esiste persona che non si abbia almeno una volta nella vita scattato un selfie". Io non ho mai scattato in vita mia un "selfie", personalmente li detesto. L'affermazione del presente articolo è quindi errata.
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