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STATI UNITILe elezioni tra accuse di brogli, morti che votano e filigrane segrete

10.11.20 - 09:50
Le teorie complottiste hanno costellato il testa a testa fra Trump e Biden. Vediamone alcune
keystone-sda.ch / STF (John Locher)
Le elezioni tra accuse di brogli, morti che votano e filigrane segrete
Le teorie complottiste hanno costellato il testa a testa fra Trump e Biden. Vediamone alcune

WASHINGTON D.C. - Donald Trump non cede di un passo e nemmeno i suoi supporter. Il presidente americano, nonostante l’esito delle urne, ha continuato nelle ore successive a rivendicare la propria vittoria nelle elezioni. «Ho vinto io. Ho ottenuto 71 milioni di voti legali. Mai così tanti per un presidente in carica», ha ribadito su Twitter, evocando lo spettro di alcune «brutte cose» accadute durante lo scrutinio. Un trampolino di lancio per tante teorie di presunti complotti che hanno iniziato a rincorrersi in rete. Quali? Vediamone alcune.

Le prime ombre Trump ha iniziato a gettarle durante la notte elettorale, quando gli addetti ai lavori hanno iniziato a conteggiare i voti espressi per posta che, come era ben noto, si sono rivelati essere in grande maggioranza a favore dei democratici. Anche perché - va ricordato - Trump ha invitato i suoi elettori a recarsi direttamente ai seggi e a non votare per corrispondenza. Ha preso così il via la crociata dello “Stop the count!” e tutto quel discorso che si inserisce nell’orbita delle presunte «elezioni truccate».

E anche i social network hanno, ovviamente, fatto la loro parte, facendo eco alle voci di schede magicamente trovate o scomparse, di aumenti improvvisi di voti conteggiati nei cosiddetti “stati chiave” durante le ore notturne - lo stesso Trump aveva twittato: «Stanno lavorando sodo per far scomparire quel vantaggio di 500’000 voti in Pennsylvania» - o ancora (citando alcuni tweet concentrati sui conteggi in Arizona, anch’essi poi rivelatisi privi di fondamento) dello “Sharpiegate”. Di cosa si tratta? Di addetti ai seggi che avrebbero distribuito pennarelli di marca Sharpie ai votanti per rendere nulle le loro schede. Una voce doppiamente smentita: dalla contea di Pinal, che ha detto di non aver distribuito i pennarelli in questione, e da quella di Maricopa, che ha invece assicurato che l’eventuale utilizzo di questi non avrebbe comunque inficiato le schede.

Se tutte queste teorie - pur prive di fondamento - sono tutto sommato plausibili da un punto di vista pratico, ce ne sono altre invece decisamente più fantasiose. Venerdì scorso, come riportato dal New York Times, si è propagata ad esempio, sfruttando il potere virale del web, la voce che in Pennsylvania ci fossero 21mila voti di persone morte attribuiti al Partito Democratico. Il sito di estrema destra Breibart News ha riportato il fatto, trovando poi nell’account Twitter di Rudy Giuliani un efficace megafono. Accuse simili hanno preso di mira anche i voti scrutinati in Michigan, ma anche in questo caso - conferma il quotidiano - non risulta alcuna frode. Insomma, si trattava di persone vive che hanno compilato le proprie schede.

A sfociare nel puro cospirazionismo sono però le teorie legate alla comunità online QAnon, convinta dell’esistenza di una trama ordita proprio contro il presidente Trump. Durante la lunga settimana elettorale, con la situazione di alcuni stati chiavi a lungo inchiodati su quel “too close to call” che impediva qualsiasi proiezione, ha iniziato a circolare la voce su di una particolare filigrana - caratterizzata anche dalla presenza di un «isotopo non radioattivo» - nascosta all’interno delle schede elettorali da parte del Dipartimento della Homeland Security. Una “trappola” - secondo i teorici del complotto - tesa dal governo ai democratici, che stampando nuove schede per i brogli non sarebbero stati al corrente di questa particolarità.

C’è però un "problema" di fondo, che fa cascare l’intero castello: le schede elettorali non vengono prodotte da un unico ente federale ma dai singoli Stati; che a loro volta si affidano ad aziende di stampa locali. E se questo non dovesse bastare, la stessa Agenzia americana per la sicurezza informatica (CISA) ha pubblicato una smentita ufficiale sul proprio sito.

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