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LOCARNOGiuseppina Garatti: "Ecco chi era Arno"

27.05.13 - 19:11
Lungo e toccante racconto in aula di Giuseppina Garatti, madre di Arno, ucciso il 1° luglio del 2011 a Daro
Foto Ti Press
Giuseppina Garatti: "Ecco chi era Arno"
Lungo e toccante racconto in aula di Giuseppina Garatti, madre di Arno, ucciso il 1° luglio del 2011 a Daro

LOCARNO - "Arno era il mio secondo figlio. Era dolce, bravo, un po' dispettoso. Gli piaceva la compagnia, era premuroso e cercava sempre di aiutare gli altri". Sono state queste le prime parole di Giuseppina Garatti in aula oggi. La madre della vittima, uccisa il 1° luglio 2011 dal figliastro D.D., in un racconto durato oltre due ore, spiega chi fosse suo figlio, la sofferenza per il gravissimo incidente subito e quel matrimonio, quell'unione con Mitra che l'aveva fatto tanto soffrire.

Prima che iniziasse a parlare è stato Mario Branda, rappresentante legale della famiglia Garatti a spiegare i motivi della deposizione della donna. "Ci sembrava giusto questa audizione per capire chi fosse Arno Garatti e cosa rappresentava per i suoi familiari".

 

Giuseppina Garatti ha parlato per oltre due ore. Ha raccontato la vita del figlio che ha visto il primo e l'ultimo giorno della sua vita. Un ragazzo che in tutta la sua vita ha coltivato la passione per le motociclette e la meccanica. Un ragazzo come tanti, ma che il 28 settembre del 1988 subì un gravissimo incidente stradale, mentre, insieme a un amico, si trovava a bordo della sua motocicletta di grossa cilindrata, una 1.100. Un evento che gli segnò la vita: "Le ferite di Arno erano gravissime. Il suo amico, seduto dietro di lui, non si è fatto niente. Arno non si ricordava più niente dall'incidente fino a quattro addietro. Dovevo raccontargli tutto io".

 

La madre racconta i momenti più duri, il coma e il lungo periodo di riabilitazione. Lei lo accudiva tutti i giorni, aveva lasciato anche la sua attività lavorativa (gestiva un negozio che vendeva animali domestici) per stare accanto a lui. Tutti i giorni si è recata in ospedale per stargli vicino. "Ho deciso di lasciare l'attività e di curare mio figlio -spiega - Per poter comunicare con lui per fargli capire che cosa voleva, ho inventato un linguaggio. Avevo scattato delle fotografie a oggetti di uso quotidiano, le posate, i suoi profumi per la barba. Io gli mostravo le cose e gli dicevo che quando avrebbe avuto bisogno di quell'oggetto avrebbe dovuto chiudere gli occhi. Lui non capiva sempre".

 

Suo figlio, un giovane ragazzone di un metro e 85 per 100 chili, era tornato un bebè, che aveva bisogno di tutto. Ed era la mamma che lo imboccava, lo lavava, lo vestiva. La signora, con il magone, ha ricordato lo strazio di vedere il figlio che non poteva più parlare, e la gioia, quando è riuscito a ricominciare a farlo. "Era la metà di dicembre, e un giorno Arno mi ha detto: "Ciao mamma".

 

Un ritorno alla vita lento, lentissimo, riuscito anche, grazie e sopratutto, alla forza di volontà e all'amore che soltanto una madre può dare. Nel febbraio del 2005 ,Arno dice alla madre di voler andare a vivere da solo, si sentiva pronto e poi, preoccupato e grato dell'aiuto della mamma, le diceva che avrebbe dovuto imparare ad arrangiarsi in ogni caso, perché lei prima o poi se ne sarebbe andata e lui sarebbe rimasto solo. La madre ha raccontato anche della gioia del figlio quando, nel 2006, era riuscito a riottenere la patente del motorino. "Era contentissimo - ha raccontato Giuseppina. Ed era riuscito addirittura ad ottenere il patentino per lo scooter. Ma era in costante controllo medico e ogni anno doveva sottoporsi a un controllo".

 

Poi arriva il 2010, Arno conosce Mitra Djordjevic con la quale si sarebbe sposato il 25 ottobre. La madre non nascondeva le sue preoccupazioni: "Gli dicevo di non correre, di conoscerla bene prima di compiere questo passo". Ma dai primi contatti con Giuseppina, Mitra si era dimostrata subito una donna senza scrupoli, che chiedeva di non immischiarsi nella vita di coppia matrimoniale. I litigi familiari, come ha spiegato la madre, erano originati principalmente per motivi economici. Lei, in pratica, secondo Giuseppina Garatti, spendeva i soldi del marito, girava in macchina, ma contemporaneamente, rimproverava il marito se lui si fermava al bar per bere un caffè.

 

Giuseppina era preoccupata e triste. Ha saputo del matrimonio del figlio soltanto tre settimane dopo e vedeva quel figlio che, dopo essere riuscito a riconquistare la parola e una vita autonoma, stava cambiando. Stava diventando sempre più cupo, introverso, depresso. Addirittura un giorno aveva confidato alla madre di volerla fare finita. "Mi diceva che era stanco e disperato e che avrebbe voluto uccidersi - ha raccontato Giuseppina Garatti. Il problema erano i soldi. Lui non capiva dove andassero a finire, non era contento di come lei si comportava con lui".

Arriva il 1° luglio 2011, il giorno della tragedia. Giuseppina vede per l'ultima volta suo figlio. "L'ho visto alla Migros e poi l'ho sentito al telefono. Provavo a parlagli di cose normali, della nostra cascina a Pian San Giacomo, della visita oculista che avrebbe dovuto fare perché gli si erano rotti gli occhiali. Lui mi rispondeva a monosillabi. Non mi sembrava arrabbiato, ma piuttosto chiuso".

 

 

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