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CANTONE«La malattia? L'ho scoperta mescolando il caffè»

11.04.24 - 06:30
Il racconto di chi vive con il Parkinson da otto anni: «Tanta attività fisica e un atteggiamento positivo. Così non penso alla malattia»
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«La malattia? L'ho scoperta mescolando il caffè»
Il racconto di chi vive con il Parkinson da otto anni: «Tanta attività fisica e un atteggiamento positivo. Così non penso alla malattia»
Il tema dell'attività fisica è al centro del programma organizzato da Parkinson Svizzera per la giornata mondiale di oggi. Salvatore Galati, neurologo EOC: «La malattia oggi è controllabile e compatibile con un'ottima qualità di vita per diversi anni».

«Il sintomo principale è stato il tremore. L’ho scoperto perché non riuscivo più a fare il movimento rotatorio per mescolare lo zucchero nel caffè». Martino oggi ha 73 anni. E dal 2016 gli è stata diagnosticata la sindrome di Parkinson. «Ho una forma della malattia che in questi otto anni è quasi sempre stata stabile», ci racconta.

Con la "paralisi agitante" hanno fatto la propria comparsa altri sintomi caratteristici. «Scrivevo dal grande al piccolo, e verso l’alto, tipico del parkinsoniano. Poi le notti interrotte, che prima non avevo: mi sveglio spesso e quindi, durante il giorno, ho poi bisogno di riposare. Certo ho un po' di stanchezza, ma per fortuna di sintomi molto forti non ne ho». In un certo senso, Martino la compagnia indesiderata di quello che in molti chiamano "Mr. P" nemmeno la considera. «Io non mi sento un malato. Ho un atteggiamento positivo. E diversi hobby: il giardinaggio, spacco la legna, vado a camminare. E tutto questo mi distrae dalla malattia».

Il movimento in particolare, contro l'irrigidimento dei muscoli, è «una cosa che ho scoperto essere fondamentale. E con questo sono riuscito a mantenere tutto abbastanza stabile». Una seduta di fisioterapia a settimana. Un giorno di palestra. E certo, aiutano anche gli anni passati a lavorare come falegname. «L'attività fisica aiuta quasi più dei medicamenti. Certo, con questi ultimi sono riuscito a far passare il tremore. E ora sono quasi come allo stato iniziale». Anche se su quest'ultimo aspetto, ci confessa, inizialmente «ero scettico, perché mi preoccupavo degli effetti collaterali. Poi il medico mi ha detto: “Guarda, tu devi avere la qualità di vita adesso”. Ed effettivamente è così».

«Chiedere aiuto? All'inizio avevo un po' di timore, ma poi...»
Anche con lo spirito positivo, e riuscendo a vivere in normalità la sindrome, chiedere aiuto può tuttavia non essere facile. «Inizialmente avevo un po’ di timore a rivolgermi a un gruppo di auto-aiuto. Anche un po’ di vergogna», ammette. Un ostacolo che però, lo si capisce chiaramente dal tono allegro nella voce di Martino, valeva la pena "saltare". «Ho chiamato e così sono entrato a far parte del gruppo dei “Giovani parkinsoniani”. Sì, anche se sono un pensionato mi hanno preso come giovane».

Una decisione felice, quindi. E utile. Sia per chi è colpito dalla malattia che per chi gli sta vicino. «L’attività principale si svolge attraverso diversi corsi, organizzati da Parkinson Svizzera. In più, con il nostro gruppo si organizzavano tre o quattro uscite all’anno. Passeggiate e ritrovi, tra parkinsoniani e, ovviamente, i congiunti. È importante informare bene anche loro, perché spesso molti problemi toccano più loro che non i parkinsoniani. Oltre a questo, da un paio d’anni, si organizzano anche incontri, ogni due o tre mesi, tra soli parkinsoniani per discutere tra di noi. Dove ognuno può esporre i suoi problemi perché la malattia si esprime in modi molto diversi in ogni persona. Nasce e si sviluppa una certa solidarietà. E qui io mi sento un po' come in una famiglia».

«La malattia? Oggi è compatibile con un'ottima qualità di vita per diversi anni»
Ma quali sono oggi le possibilità in termini di cure e terapie? «Abbiamo a disposizione dei farmaci sintomatici che agiscono sulla sindrome parkinsoniana - e su diversi sintomi non motori della malattia - che sono estremamente efficaci nel mascherare bene i sintomi», ci spiega Salvatore Galati, caposervizio neurologia dell’EOC - dove è pure responsabile del servizio dei disturbi del movimento - e libero docente alla facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana. «A oggi la terapia è tuttavia sintomatica. Non abbiamo quindi una terapia in grado di incidere sulla storia naturale della malattia». Ma da «evidenze scientifiche recentissime», questo sembra in grado di farlo l'attività fisica. Ed è il motivo per cui quest'ultima è al centro del programma organizzato dalla sezione ticinese di Parkinson Svizzera in occasione della giornata mondiale del Parkinson, che ricorre ogni 11 aprile, giorno della nascita del medico britannico - James Parkinson - che per primo descrisse la sindrome.

«La malattia oggi è controllabile anche nelle fasi avanzate», sottolinea Galati. «Per diversi anni consente un’ottima qualità di vita ai pazienti» grazie a «strategie farmacologiche in grado di migliorare notevolmente i sintomi motori e non». E per il futuro? «Ci sono circa 150 molecole per cui sono in corso trial clinici e che sono oggetto di valutazione per un possibile effetto di rallentamento, se non di blocco, del processo neurodegenerativo. Probabilmente quindi arriveranno queste terapie. Una di queste molecole verosimilmente sarà quella che raggiungerà l’obiettivo di bloccare la malattia. E a quel punto sarà importante riconoscerla sul nascere. E abbiamo gli strumenti. Anche quando ci sono dei sintomi aspecifici, per incidere il prima possibile sulla sua storia naturale».

Il tempo zero, prima e dopo
Ma torniamo al presente della malattia. L'incidenza «è in aumento» conferma l'esperto, ma è una crescita che «riguarda perlopiù le fasce di pazienti anziane, quindi quelle sopra gli 80 anni». Ed è dovuto al fatto «che la popolazione sta invecchiando». Per quanto invece riguarda un presunto abbassamento della soglia d'età, Galati indica che «il picco d'incidenza è intorno ai 65 anni» e mette in evidenza un distinguo che è importante fare. «I casi nelle fasce cosiddette di “early onset”, quelle più precoci, non sono aumentate notevolmente. Non bisogna quindi intimorire la popolazione in generale. Piuttosto, la possibilità di riconoscere rapidamente alcuni segni clinici anticipa l'età di esordio della malattia. Perché è una malattia che può avere un decorso notevolmente lungo. Esiste un tempo zero in cui iniziano a manifestarsi i sintomi motori, quelli più specifici e più riconoscibili, e che consentono la diagnosi; ma c’è poi tutto un lungo periodo prodromico, quindi prima che i sintomi siano riconoscibili, che può durare dieci o vent’anni. Quindi quando una persona è in grado di riconoscere in maniera più accurata quei sintomi aspecifici ecco che naturalmente si abbassa anche l’età di diagnosi».

E quali possono essere questi segnali? Anche in questo caso è essenziale armarsi delle proverbiali "pinze", nel senso che alcuni di questi sono sintomi molto diffusi - quindi non per forza collegati a un decorso legato al Parkinson - e, Galati ci tiene a sottolinearlo. Detto ciò, alcuni esempi sono «i disturbi del sonno; l'iposmia, ossia la riduzione dell'olfatto; la stitichezza. Anche la deflessione del tono dell'umore. Sono questi i sintomi più frequenti e sono, soprattutto, sintomi non motori della malattia. La diagnosi però - quel “tempo zero” - è possibile farla solo quando iniziano i sintomi legati alla sfera motoria. Perché ancora oggi, nel 2024, la diagnosi è su base clinica: quindi bisogna prima di tutto dimostrare che c’è una sindrome parkinsoniana. E le sue connotazioni sono motorie».

Inoltre, lo ricordiamo, si sta parlando di una sindrome che può manifestarsi con molta variabilità. E questo non solamente tra una persona e l'altra, ma anche nella cornice di ogni singolo paziente. «È una condizione molto variabile. A prescindere dal tipo di trattamento che si segue, anche se si è accurati nel seguire il trattamento. Ed è legata a situazioni che possono essere difficilmente riconoscibili, ma che spesso i pazienti riferiscono. Quando ad esempio dicono che il tempo meteorologico può influire negativamente. Oppure lo stress psicofisico che, è abbastanza chiaro, influisce in modo negativo sulla malattia. Per cui c’è sempre una certa variabilità. Quando valutiamo i nostri pazienti per apportare le modifiche terapeutiche necessarie chiediamo sempre di fare una raccolta anamnestica della settimana precedente. Non bisogna mai fare valutazioni conclusive su una singola giornata, che può risultare anche negativa».

Per ulteriori informazioni:
Parkinson Svizzera
Ufficio Svizzera Italiana
https://www.parkinson.ch/it
091 755 12 00

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