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Moskva, una settimana dopo ne sappiamo ancora poco

RUSSIAMoskva, una settimana dopo ne sappiamo ancora poco

21.04.22 - 11:00
L'incrociatore è affondato lo scorso 14 aprile. Qual è stata la causa? Ci sono state vittime? Facciamo il punto
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La presunta immagine del Moskva dopo essere stato colpito. Per molti analisti la foto è autentica.
La presunta immagine del Moskva dopo essere stato colpito. Per molti analisti la foto è autentica.
Moskva, una settimana dopo ne sappiamo ancora poco
L'incrociatore è affondato lo scorso 14 aprile. Qual è stata la causa? Ci sono state vittime? Facciamo il punto

MOSCA - Il Moskva non sia un altro Kursk. L'affondamento dell'incrociatore russo, avvenuto una settimana fa, è stato al contempo tragedia e fonte di grande imbarazzo per il Cremlino. L'analista geopolitico Dario Fabbri l'ha definita «un'umiliazione che i russi non conoscevano dalla Seconda Guerra Mondiale»; probabile figlia di un'eccessiva sottovalutazione delle forze ucraine e del loro arsenale. Difficile da spiegare dopo quasi due mesi di guerra. Un'umiliazione che in patria sta avendo implicazioni che ricordano da vicino proprio i giorni successivi alla tragedia del 12 agosto 2000; la prima crisi dell'era Putin.

Sulla stampa internazionale - dall'Ansa al Guardian, passando per il Moscow Times - si è letto in questi giorni della rabbia dei parenti di quei marinai che si trovavano in servizio sul Moskva. Testimonianze di madri e padri e della volontà di fare tutto il possibile affinché la verità su quanto accaduto riemerga dalle acque del Mar Nero in cui il fiore all'occhiello della flotta russa si è inabissato.

Una settimana dopo. Cosa sappiamo?
Cosa sappiamo, sette giorni dopo, dell'affondamento del Moskva? In realtà ancora molto poco. Proviamo a mettere un po' di ordine. L'incrociatore russo è affondato il 14 aprile scorso dopo aver subito pesanti danneggiamenti. E possiamo dire che qua si esauriscono le certezze, che cedono il passo alle versioni. A Kiev si sono appuntati sul petto il merito già il giorno precedente, annunciando di aver colpito la nave con due missili Neptune. E sul fatto che sia questa la causa principale dell'affondamento sembrano concordare anche fonti militari degli Stati Uniti.

La versione di Mosca - comunicata dal ministero della Difesa - non menziona invece alcun missile ucraino ma parla di un incendio e a bordo che ha in seguito provocato l'esplosione di alcune munizioni, danneggiando così in modo pesante l'incrociatore russo. La causa dell'incendio? Nessuna parola in merito. L'affondamento è invece stato attribuito alle presunte difficili condizioni meteorologiche incontrate mentre era in corso il rimorchio del Moskva. Presunte. E l'equipaggio? Anche questo è un grosso punto interrogativo.

Sin dalle primissime ore si è parlato di alcune decine di morti, di feriti e di dispersi, ma Mosca non ha confermato ufficialmente la presenza di vittime. L'equipaggio del colosso russo, per completezza d'informazione, contava oltre 500 persone. L'unica prova fornita dalla Difesa russa è racchiusa in un filmato, reso pubblico lo scorso sabato, in cui viene mostrata parte dell'equipaggio dell'incrociatore nel porto della città di Sevastopol, in Crimea. Un centinaio di uomini circa. Di certo non 510.

«Non un altro Kursk»
Oltre la cortina del Cremlino si parla invece di una quarantina di morti e molti più feriti. Una tragedia non ancora confermata che è impossibile non accostare a quella dell'affondamento del Kursk, durante un'esercitazione nelle gelide acque del Mare di Barents, che a sua volta sollevò un'ondata di indignazione nella popolazione della Federazione Russa e tra i familiari dei membri dell'equipaggio di quello che doveva essere un sottomarino assolutamente inaffondabile. Anch'esso un fiore all'occhiello della Marina militare russa, ma nella Flotta del Nord. Le vittime furono 118. L'intero equipaggio. La maggioranza morì sul colpo. Gli ultimi 23 solo qualche ora dopo.

Era il 12 agosto 2000. Il primo annuncio ufficiale da parte di Mosca sarebbe arrivato solo il 14 agosto, parlando di «problemi tecnici minori» e confermando «di essere in contatto» con l'equipaggio e che «tutti erano vivi». Seguirono contraddizioni, ipotesi sulle cause del disastro e le enormi difficoltà incontrate dai funzionari di Mosca per intervenire e tentare quella che in quel momento era ancora (perlomeno agli occhi della popolazione) un'operazione di salvataggio. Le ultime speranze morirono il 21 agosto, quando fu dato l'annuncio - dopo aver raggiunto il relitto e scoperto che i compartimenti erano del tutto allagati - che nessuno era sopravvissuto.

E ricordando il dramma del Kursk trovano ancora più senso le parole, riportate dai media internazionali, di Dmytro Shkrebets, padre di uno dei giovani marinai in servizio sul Moskva. L'uomo si è fatto portavoce del dolore dei familiari e promette di dedicare «tutta la mia vita perché la verità prevalga». Mosca permettendo.

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