Crescono gli addetti ai lavori meno positivi sulla crescita, stando a un sondaggio di Deloitte
ZURIGO - Segnali di rallentamento per l'economia svizzera: per la prima volta da oltre tre anni risulta in calo la quota dei responsabili delle finanze (CFO) delle aziende che mostra ottimismo sul futuro.
Dalla 35esima inchiesta semestrale condotta dalla società di consulenza Deloitte emerge che il 79% dei 109 interpellati prevede un'evoluzione congiunturale positiva in Svizzera nei prossimi dodici mesi, il 2% punta su un un peggioramento e il 19% scommette sulla stabilità.
La valutazione netta è quindi del 77% (79% meno 2 punti percentuali), a fronte dell'85% registrato nel primo semestre. Stando agli analisti di Deloitte il picco di crescita sembra essere superato, il che è corroborato anche dal fatto che negli ultimi mesi l'ottimismo degli stessi CFO sulle prospettive finanziarie delle proprie società si è degradato in modo significativo, con il saldo netto (dichiarazioni ottimistiche meno quelle negative) passato dal 24% al 9%.
«L'economia elvetica è tuttora solida, ma il grande boom è finito e per la prima volta le tensioni commerciali internazionali hanno un impatto negativo sulla Svizzera», spiega Michael Grampp, capo economista di Deloitte Svizzera, citato in un comunicato. L'atteggiamento protezionistico adottato in particolare dalle due grandi potenze Stati Uniti e Cina provoca inquietudine fra le realtà orientate all'esportazione.
L'instabilità politica che sta caratterizzando sempre di più i partner commerciali tradizionali viene vista come una grande sfida dagli interrogati. Rispetto alla prima metà dell'anno, la percezione di una situazione di alto rischio interessa sempre di più gli Stati Uniti (valore passato dal 26% al 77%), l'Italia (dal 20% al 64%) e la Cina (dal 15% al 30%). Anche la Gran Bretagna, alle prese con le turbolenze della Brexit, presenta un dato elevato, pari al 64%. Il rischio è considerato invece inferiore per Germania (11%) e Francia (7%).
Allargando lo sguardo ai CFO degli altri paesi, i francesi mostrano attualmente la più forte propensione ad assumersi rischi di bilancio: il 45% ritiene il momento favorevole. Al secondo posto in questa classifica si inserisce la Svizzera (39%).
Secondo Jean-François Lagassé, dirigente presso Deloitte, l'insicurezza geopolitica e il protezionismo sono molto presenti nella percezione dei CFO svizzeri, ma i processi interni alle aziende sono per la prima volta considerati il rischio principale. Attualmente molte ditte si trovano ad affrontare problemi interni e non stanno dedicando tutte le energie necessarie per affrontare le sfide esterne, cosa che invece dovrebbero fare, sostiene Lagassé.
Fra queste grandi sfide figura il tasso di cambio franco/euro. Per il 60% degli interrogati una valuta svizzera più forte avrebbe un impatto negativo diretto sull'attività della loro impresa. In media i CFO indicano un tasso di cambio di 1,07 come valore limite tollerabile per la loro azienda.
Per Lagassé è sorprendente che solo poco più della metà dei responsabili finanziari limiti i rischi di cambio attraverso strumenti finanziari di copertura. «In quest'ambito l'atteggiamento giusto sarebbe quello di non rimanere passivi», ha detto.
Nonostante il quadro sempre meno sereno, il 39% dei CFO punta comunque tuttora su un aumento degli investimenti nei prossimi dodici mesi, un dato in linea con la media europea. Il 42% si aspetta inoltre un aumento del personale. I CFO valutano anche come rischio crescente la penuria di manodopera qualificata (un aspetto peraltro al primo posto fra le preoccupazioni in Germania e Austria).
Il cambiamento demografico, caratterizzato dall'invecchiamento della popolazione, e la rivoluzione tecnologica renderanno sempre più rara, nel lungo periodo, la manodopera qualificata. Solo il 20% delle imprese sta considerando misure di assunzione destinate ad altri grandi gruppi di lavoratori, quali per esempio i lavoratori più anziani: "si tratta di un errore strategico", si dice convinto Grampp.