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MONDOBig Quit, la “grande fuga” dal lavoro (e non solo)

11.03.22 - 06:00
Il fenomeno ha preso il via durante la pandemia ed è in crescita in tutto il mondo. Anche in Europa (in versione soft)
Depositphotos (foto d'archivio)
Big Quit, la “grande fuga” dal lavoro (e non solo)
Il fenomeno ha preso il via durante la pandemia ed è in crescita in tutto il mondo. Anche in Europa (in versione soft)

NEW YORK - Negli Stati Uniti lo hanno chiamato "Great Resignation" o "Big Quit". Un fenomeno che durante la pandemia si sta estendendo un po’ a tutto il mondo e che è arrivato anche in Europa. Letteralmente significa: mollare tutto e cambiare vita. Il punto di partenza è sicuramente il lavoro ma nei casi più estremi rivoluzionare la propria vita, cambiando casa, stile e quant’altro.

Numeri importanti negli USA. Un crescendo. Dallo scorso luglio a ottobre oltre quattro milioni di americani hanno scelto di abbandonare il proprio impiego. Solo a dicembre 4,3 milioni di dipendenti hanno lasciato volontariamente il lavoro, secondo il Bureau of Labor Statistics Usa, dopo il record storico di novembre, quando si sono licenziati oltre 4 milioni e mezzo di lavoratori, pari al 3% della forza lavoro. Una sorta di virus nel virus. «Anche una sola lettera di dimissioni può generare un focolaio di abbandoni del lavoro», ha detto al New York Times Will Felps, docente di management all’Università del New South Wales e uno degli autori di uno dei tanti studi sul contagio del turnover.

L'indipendenza, una voglia sbocciata nel lockdown
I lockdown e lo smart working hanno influenzato la vita di tutti, facendo crescere la voglia d'indipendenza e le dimissioni dal lavoro subordinato nell’era del post Covid. Sempre più persone si stanno così avvicinando alla Yolo (you-only-live-once) economy. Secondo Pietro Novelli, country manager Italia di Oliver James «Il risultato è quello che stiamo vedendo in questo periodo con il boom di dimissioni e con la voglia di molti dipendenti di diventare autonomi, potendo gestire il tempo (e anche il luogo) da dedicare al lavoro». Insomma tra le pieghe del covid in molti hanno «respirato» la libertà del lavoro non subordinato, non dipendente, da luoghi e orari.

Secondo una ricerca di Microsoft su 30mila lavoratori, il 41% starebbe considerando di dimettersi. Mentre dai dati di uno studio pubblicato sull’Harward Business Review, che ha preso in esame i dati di oltre 9 milioni di lavoratori e di 4mila aziende, la maggior parte delle fughe dal lavoro avviene tra gli impiegati a metà della propria carriera, quindi nella fascia di età tra i 30 e i 45 anni.

Il giornalista Derek Thompson sull’Atlantic ha descritto questo fenomeno: “I lavoratori con salario più basso che hanno beneficiato di maggiori indennità di disoccupazione durante la pandemia, una volta tornati al lavoro, potrebbero essersi resi conto di non essere pagati abbastanza. Ora stanno puntando i piedi, costringendo ristoranti e negozi di abbigliamento a sborsare un salario più alto”.

In tempi normali, le persone che lasciano il lavoro sarebbero indice di un’economia in salute: perché sarebbe implicita la buona probabilità di trovare un lavoro migliore, o semplicemente più remunerativo, o più stabile. Ma in questo caso è diverso. Ogni lavoratore che lascia il proprio impiego si traduce in un costo per l’azienda. Serviranno infatti risorse, tempo ed energie (e quindi denaro) per trovare un valido sostituto. Da uno studio pubblicato sulla rivista "Organization Science", il costo stimato di un dipendente perso che guadagna 8 dollari l'ora (poco più di sette euro) si traduce in perdite per l’azienda che vanno da 3.500 e 25.000 dollari (ovvero da 3.000 a 20.000 euro per ogni risorsa persa).

Il paradosso? Il lavoro del futuro allora sarà convincere i dipendenti a non dimettersi. È quello che sta facendo un’azienda alimentare americana, la McEntire Produce, che ha deciso di assumere una figura con il compito di persuadere i dipendenti a non licenziarsi.

Anche in Europa... ma in versione soft

Il fenomeno americano è arrivato anche in Europa ma in maniera soft sviluppandosi a macchia di leopardo. Il fenomeno interessa molto l’Europa continentale, sempre più caratterizzata dall’elevata disoccupazione e dall’assenza di lavoratori nei settori chiave. In Germania mancano almeno 80 mila autisti e per l’Agenzia tedesca del lavoro il Paese avrà bisogno di importare almeno 400mila lavoratori per colmare i vuoti nelle imprese. Il numero di dimissioni è aumentato anche in Francia. Lo scorso settembre il paese ha registrato un aumento del 9% rispetto allo stesso periodo pre pandemia. Invece in Spagna, il numero di dimissioni tra il 2020 e il 2021 è diminuito, secondo il ministero della sicurezza sociale. In Italia invece il fenomeno ha attecchito: tra aprile e giugno 2021, quasi mezzo milione di lavoratori hanno abbandonato volontariamente l'impiego: +37% rispetto all'anno precedente.

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