Il Verstappen sfacciato e sfrontato del passato, quello che combinava guai, ormai non c'è più
Il titolo non lo ha vinto la Red Bull, lo ha vinto Verstappen.
SUZUKA - Dal nostro corrispondente, Umberto Zapelloni.
Prima di tutto diamo a Max quel che è di Max: complimenti per il suo secondo Mondiale di fila a 25 anni appena compiuti. Lo merita fino in fondo, nonostante gli aiuti ricevuti e le polemiche attorno al budget-cap in sottofondo. Se dobbiamo giudicare soltanto il pilotaggio va riconosciuto che Max è stato praticamente perfetto, uscendo dai confini solo a Singapore. Ha vinto partendo da lontano e da lontanissimo (7° a Monza, 10° in Ungheria, 14° in Belgio). Ha vinto scappando via dall’inizio o approfittando dei punti deboli della Ferrari, frenata una volta dall’affidabilità, un’altra da un errore strategico e alla fine anche da un paio di errori di pilotaggio. Ha saputo giocare d’attesa quando serviva, essere aggressivo quando era necessario, ma non si è mai preso rischi inutili: il Max che finisce la sua gara sulla testa di Hamilton è solo un ricordo. L’olandese ha insomma messo in pista tutto il suo repertorio, con il gioiello finale della prima partenza sotto il diluvio di Suzuka. In Giappone, dopo esser scattato peggio di Leclerc, ha tenuto giù il piede e si è ripreso la posizione sorpassando il ferrarista all’esterno, con una manovra che Helmut Marko ha giustamente definito da extraterrestre.
I commissari Fia, con l’ennesima decisione cervellotica della stagione, hanno anticipato la festa, ma almeno quest’anno non hanno stravolto il risultato finale. Non hanno cambiato il senso di un campionato che già prima di fine estate era chiaramente indirizzato. Quanto il Mondiale sia di Max più che della Red Bull lo racconta la classifica di Sergio Perez, che in qualifica ha battuto il compagno solo 4 volte su 18 e in gara ha vinto 2 volte contro le sue 12. La differenza l’ha fatta lui. Veloce, affidabile, concreto. Il Max sfacciato e sfrontato del passato, quello che combinava guai e interpretava le regole a modo suo, ormai non c’è più. Oggi recita la parte del bravo ragazzo. Una volta liberatosi del peso dell’imbattibilità di Hamilton ha cominciato a camminare in territori nuovi. Nella sfida con Leclerc ha tirato fuori le unghie quando era necessario, ma i suoi colpi sono sempre rimasti sopra la cintura. Qualche volta sembra poco umano, ma forse quello che gli manca è solo un po’ di empatia. A fine gara, a titolo annunciato con sorpresa, avrebbe anche potuto lasciarsi andare in un bel bacio con la sua fidanzata Kelly, che di cognome fa Piquet e di Mondiali in casa grazie a papà ne ha già tre. Si è invece limitato a un lungo ma castissimo abbraccio. Ecco qui dovrebbe imparare da Leclerc.