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LOCARNO«Padre, marito e avventure sessuali. Vi racconto le ansie dell'uomo di oggi»

03.04.24 - 06:30
Antonio Ornano presenta il suo comic-show, per «affrontare in modo divertente e comico le inquietudini di chi ascolta».
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«Padre, marito e avventure sessuali. Vi racconto le ansie dell'uomo di oggi»
Antonio Ornano presenta il suo comic-show, per «affrontare in modo divertente e comico le inquietudini di chi ascolta».

LOCARNO - «Morale approssimativa, scarsa autostima e una notevole dose di cinismo». Lo leggi sulla locandina di "Maschio caucasico irrisolto" ed è qualcosa che ti colpisce, perché quella del maschio che si guarda dentro, senza sconti, non ti aspetti certo di trovarlo in uno spettacolo di cabaret.

Ma tant'è. Perché Antonio Ornano, soprattutto in tv - da "Zelig", a "Le iene”, fino al nuovo “GiallappaShow” - ci ha abituato a ridere, anche senza rinunciare a riflettere, all'interno di un «irrefrenabile flusso di coscienza». Quale? Lo chiediamo direttamente all'artista, in attesa di vederlo al teatro Kursaal di Locarno, venerdì 05 Aprile 2024 (inizio ore 20:45) con il suo spettacolo.

Antonio, porti al Kursaal una storia, quella di un "Maschio caucasico irrisolto", è davvero così?
«Sì, è come un monologo che cerca di affrontare in modo divertente e comico le inquietudini di chi ascolta e che appartengono anche a me. Una storia di introspezione di una persona di una certa età che fa un bilancio con tutte le incompiutezze che si devono accettare. Esperienze di padre, marito e di quotidianità, avventure sessuali. Un viaggio introspettivo dettato da una novità: un analista, che è intervenuto recentemente».

Parli di "tirare le somme" a una certa età. Le tue o quelle dell'uomo medio, in stile "fantozziano"?
«No. Fantozzi è una maschera universale, incomparabile in termine di potenza. La mia è più una riflessione sulla fallibilità, che appartiene a tutti. E secondo me un processo di maturità passa attraverso l'accettazione di quello che si è realmente, ecco è più una roba del genere. Alla base dello spettacolo vedi un comico che passa in rassegna un percorso di accettazione. Oggi facciamo fatica ad accettare quello che siamo rispetto ciò che vorremmo essere. Ma quello è un desiderio di perfezione imposto. Il processo di maturazione passa attraverso l’accettazione di quel che sei: rinunci ai sogni, ma è salvifico, un classico percorso di analisi».

A proposito di Fantozzi, di Paolo Villaggio. Tu sei genovese, la tua comicità è assimilabile alla tradizione "irriverente", tipica della tua terra?
«È tipico del ligure questo disincanto, come il riportare tutto al concreto: la nostra è una cattiveria divertente, i genovesi sono "brutali" nel prenderti in giro. A Genova non puoi tanto montarti la testa, perché ci pensano gli amici e le persone che incroci. Tutto questo influisce: la comicità è un punto di vista. Ed essere di Genova è disincanto. Non so se ci sia una scuola come il Derby o lo Zelig di Milano ma abbiamo una tradizione. Parte da Govi, va poi a Villaggio, a Solenghi-Lopez-Marchesini- fino a Crozza (...). Siamo in tanti, una delle poche cose che c'è ancora a Genova, un ambiente fertile ma non certo agevolato dai posti a disposizione per la comicità».

Cosa rappresenta per te il tempo che passi sul palco, davanti al pubblico?
«Mi ritengo un privilegiato, perché sono riuscito a trasformare la passione viscerale in lavoro. Ho lavorato per 15 anni ma mi serviva per avere autonomia nell'assecondare la mia passione. Poi c’è stata l’esperienza della comicità, che ha trasformato la passione in mestiere. Sono una persona frantumata in tanti pezzi e il posto dove metto tutto inseme è sul palco: è un momento di gioia, è totale liberazione, come un bambino che gioca a calcio».

Recitare, ridere, riflettere. Può essere un'alternativa alla terapia?
«
Non è questione di alternativa. Ad esempio, ciò che ora cerco di instillare ai miei figli, lo faccio secondo la mia esperienza. Perché capisco il "non mi faccio insegnare la vita da un comico". Io racconto la mia esperienza, un'opinione che non può essere la verità assoluta. Ma posso dire che fa parte della mia esperienza: quella di aver trovato una passione salvifica. Che può capitare a ogni età e se ancora non è successo, allora va stimolata la curiosità. La passione poi diventa un rifugio, che non risolve tutto perché non puoi farti fagocitare dalla passione. Ma è un paracadute, è complementare».

Quella che offrirai al pubblico di Locarno, è una divertente seduta dallo psicologo?
«No, quello dell'analista è più un pretesto. Comunque sollecito il pubblico a sfogarsi se ha delle ansie e se vogliono farlo in pubblico. Ma tutto per divertirtisi, in un flusso di coscienza, per dare un ordine narrativo alle cose che ti accadono nella vita. Ma la prima cosa che devi fare, è far ridere! E il complimento più bello è quando il pubblico mi dice: "Tu per due ore e mezza mi hai fatto dimenticare quel che c'è fuori", regalando leggerezza. Questo scrivilo».

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