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ISRAELE / PALESTINAGaza, "Israele evita la radice del problema: 47 anni di occupazione"

06.08.14 - 08:26
Intervista a Riccardo Bocco, professore dell’Iheid di Ginevra, su una tregua fragile e un conflitto che, "come ogni guerra d'indipendenza", avrà una fine
Keystone/EPA / Weiken
Gaza, "Israele evita la radice del problema: 47 anni di occupazione"
Intervista a Riccardo Bocco, professore dell’Iheid di Ginevra, su una tregua fragile e un conflitto che, "come ogni guerra d'indipendenza", avrà una fine

TEL AVIV - Nel primo giorno della tregua bilaterale che martedì ha segnato una pausa in quattro settimane di sangue a Gaza, abbiamo raggiunto telefonicamente a Ramallah Riccardo Bocco, professore all’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra (Iheid), esperto di Medio Oriente e conflitti armati.

Quanto potrà durare questa tregua?
Per il momento si tratta di una tregua umanitaria. Il cessate il fuoco politico deve essere ancora negoziato e ciò potrebbe succedere nei prossimi giorni al Cairo. Dire che la tregua durerà per tre giorni come è stato stabilito, è come predire se domani pioverà o ci sarà il sole. Speriamo di sì.

Perché è giunta proprio ora?
Da una parte e dall’altra hanno bisogno di una pausa. Netanyahu ha dichiarato stamattina (martedì, ndr) che l’esercito israeliano ha ottenuto ciò che voleva, la distruzione di trentadue tunnel usati da Hamas. La sua preoccupazione è di ritirarsi mostrando di avere ottenuto una vittoria politica, ma questo però è illusorio. Quanti sono ancora i tunnel? Una volta che sarà conclusa la tregua, Hamas dirà che ne ha degli altri.

Come valuta il comportamento del governo israeliano in quest’operazione a Gaza?
Netanyahu ha inviato l’esercito e sarà quest’ultimo a essere responsabile di eventuali crimini di guerra, non il governo. Questo è l’aspetto più critico della posizione israeliana. Il governo usa, infatti, l’esercito in un modo scandaloso. Gli fa pagare il prezzo di una politica che non ha una visione del futuro a medio e lungo termine. Netanyahu continua ad affermare una posizione intransigente perché ha bisogno di legittimarsi rispetto all’estrema destra nel suo governo. Mostra i muscoli.

Quale sarebbe una reale soluzione del conflitto?
Gli israeliani eludono costantemente la radice del problema: il fatto che da 47 anni occupano la Cisgiordania e Gaza. Fino a quando non capiranno che devono uscire e permettere la creazione di uno Stato palestinese su quello che resta della Palestina storica, ovvero il 22%, continueranno ad avere una resistenza armata che si opporrà. Dopo il 2006, gli israeliani hanno pensato che, per far cadere Hamas, avrebbero trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto sperando che la popolazione si ribellasse contro Hamas. È successo tutto il contrario. È una storia che abbiamo rivisto nel corso di tutto il XX secolo nelle varie guerre d’indipendenza: un movimento di liberazione nazionale si batterà fino alla morte, non c’è alternativa.  L’apartheid è finita un bel giorno. La guerra d’Algeria ha espulso i francesi. La situazione israeliana è più simile a quella sudafricana perché i colonizzatori sono geograficamente molto vicini ai colonizzati. In Sudafrica, nella stessa entità territoriale c’era un potere dei bianchi sui neri. Qui ci sono gli israeliani sui palestinesi.

Che cosa impedisce a Israele dal fare un passo indietro e ritirarsi dai Territori palestinesi occupati?
Gli israeliani oggi hanno paura di una cosa: di guardare in faccia a quello che hanno fatto. Questa è una paura legittima. Il giorno in cui Israele decidesse di affrontare quello che ha fatto nell’occupazione, infatti, ciò gli farebbe molto male. È su questo punto che l’Europa potrebbe aiutare: non dovrebbe confortare gli israeliani nella loro idea di guerra, ma in quella di pace. A uscire da questo tunnel in cui sono entrati. Nel 1967 – mentre all’Onu si stilava la risoluzione 242, che intimava a Israele di lasciare immediatamente le regioni che aveva appena occupato durante la Guerra dei sei giorni – Abba Eban, un grande statista israeliano, scrisse al primo ministro israeliano dell’epoca: “Noi dobbiamo uscire il più velocemente possibile dai territori che abbiamo occupato altrimenti l’occupazione diventerà il cancro della società israeliana. Ci corromperà moralmente”.

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