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ATTUALITÀ SETTIMANALEDobbiamo temere un'altra recessione?

26.06.14 - 09:05
Il consueto appuntamento con l'attualità settimanale di BSI
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Dobbiamo temere un'altra recessione?
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LUGANO - Nonostante un certo diffuso ottimismo riguardo all'economia (statunitense), le recenti sorprese sui dati sono state mediamente negative nei G10, il PIL reale negli USA è diminuito almeno dell'1% del tasso annuo rettificato per la stagionalità nel T1, e la Fed poco tempo fa ha corretto al ribasso le proprie aspettative per la crescita del PIL di quest'anno dal 3% al 2,2%. A livello più generale, è chiaro che dal termine della Great Recession intorno al 2009, l'economia globale è cresciuta a dei tassi "depressivi". Questo vale in particolare per i paesi EMU che, al di là della stessa Great Recession, hanno assistito a un altro intervallo di un anno e mezzo in cui il PIL reale è diminuito, tra il 2012 e il 2013. Dobbiamo quindi temere un'altra recessione? Sebbene il pericolo non sia trascurabile, a nostro avviso una certa qual consolazione (a sostegno della tesi contraria) proviene dal recente andamento dei prezzi dei principali asset.

 

La ricerca condotta dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) conferma ciò che viene generalmente ritenuto vero, vale a dire che gli episodi storici di recessione sono quasi sempre preceduti da momenti sfavorevoli nei prezzi degli asset chiave. Stando al FMI, si tratta principalmente dei prezzi azionari reali, dalla curva del rendimento obbligazionaria (rendimento a lungo termine meno rendimento a breve termine) e della proxy tipica dell'incertezza del mercato - la volatilità implicita (indice VIX).

 

La correlazione tra prezzi degli asset e recessioni è piuttosto intuitiva. Innanzitutto, i movimenti sfavorevoli esogeni dei prezzi degli asset possono effettivamente portare alla recessione, in altre parole esiste un elemento di causalità che, per forza di cose, sottende un carattere predittivo rispetto ai prezzi di questi asset. Infatti, la flessione dei corsi azionari aumenta il costo del capitale per le aziende, mentre un appiattimento o un'inversione della curva del rendimento rende meno appetibile per le banche un impegno nella trasformazione delle scadenze, vale a dire nell'espansione dell'attività creditizia. I mercati più volatili, quindi maggiormente incerti, scoraggerebbero i piani d'investimento fissi, implicando una riduzione del PIL. Inoltre, il rallentamento dei valori azionari si ripercuote negativamente sulla ricchezza, compromettendo il potere d'acquisto dei consumatori e, ancora una volta, gli investimenti societari in capitale fisso e/o manodopera. Infine, nella misura in cui i mercati finanziari forniscono delle previsioni (come risulta verosimile ed è stato formalizzato da una teoria di mercato efficace), i corsi azionari sfavorevoli e un'inversione della curva del rendimento sarebbero effettivamente in grado di predire una riduzione della domanda in ambito creditizio e quindi negli investimenti societari (così come nel potere d'acquisto dei consumatori).

 

In questa sede merita dedicare particolare attenzione al prezzo del petrolio, spesso considerato un elemento trainante chiave dell'attività economica. Mentre molti economisti considerano l'improvvisa impennata dei prezzi del petrolio un segnale premonitore della recessione, la ricerca del FMI dimostra che l'effetto (quindi la capacità predittiva) dei prezzi del petrolio è fasulla nella migliore delle ipotesi, risultando inferiore all'impatto/alla capacità dei prezzi degli asset menzionati prima. Ciò smentisce la distinzione chiave tra shock dal lato dell'offerta e domanda endogena (per il petrolio). In uno shock sul fronte dell'offerta, ipotizziamo come quello avvenuto negli anni Settanta, l'OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) ridurrebbe immediatamente la produzione di petrolio, implicando un'impennata dei prezzi del petrolio. Il conseguente deterioramento delle ragioni di scambio dei paesi consumatori di petrolio causerebbe poi una diminuzione della spesa, causa a sua volta della recessione. Gli shock sul fronte dell'offerta, oggigiorno, sono meno probabili in quanto la capacità dell'OPEC di controllare l'offerta di petrolio su scala globale - e quindi il suo prezzo - è inferiore rispetto a 30-40 anni fa (detto ciò, shock minimi di questo tipo possono avvenire sulla scorta di tensioni militari in aree che producono ingenti quantità di petrolio). Quindi, più spesso che in passato, l'accelerazione dei prezzi del petrolio può essere attribuita al consolidamento della domanda commerciale di petrolio, che bel lungi dall'essere un segnale premonitore della recessione, rappresenta il rovescio della medaglia di un ciclo commerciale in rapida espansione nelle nazioni consumatrici di petrolio.

 

In virtù di ciò, le recenti oscillazioni nei prezzi degli asset chiave messi in evidenza, di per sé, non costituiscono una ragione per temere una recessione a breve termine. Infatti, come mostrato dai due grafici, i prezzi azionari reali sono piuttosto solidi da diverso tempo. Inoltre, l'indice VIX, che riflette l'incertezza del mercato, ha assistito a lungo a minimi storici e non mostra segnali di accelerazione. Infine, un confronto temporale della curva dei rendimenti dei titoli di Stato USA – situazione attuale rispetto a 12 e 24 mesi fa – mostra che, semmai, la curva è diventata più ripida nel periodo in questione, mentre la recessione normalmente è preceduta da un deciso appiattimento, se non da un'inversione, della curva dei rendimenti. Tuttavia, sebbene questi siano senz'altro segnali rassicuranti, continuiamo a sostenere che non sia possibile escludere una futura recessione, in quanto stiamo attraversando momenti molto particolari. Con ciò intendiamo che gli eccessi della politica economica (stampa di denaro, emissione del debito pubblico) potrebbero aver distorto alcuni prezzi finanziari, alterando la loro capacità di prevedere il ciclo commerciale. Ad esempio, è possibile che le dinamiche di determinati prezzi di asset siano state amplificate dalla "stampa di denaro", pertanto il rialzo dei prezzi azionari potrebbe riflettere una maggiore inflazione futura piuttosto che le percezioni di una reale redditività. Quindi, non possiamo accantonare la possibilità di ulteriori incrementi nell'avversione al rischio degli operatori economici - aggravando la nota "trappola della liquidità" – che in ultima analisi porterebbe comunque a una recessione.

 

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