Voto sull'espulsione dei criminali stranieri, il dibattito si infiamma dopo le dichiarazioni dell'oncologo. Il consigliere nazionale UDC Marco Chiesa ribatte: "Abbiamo già concesso troppo"
LUGANO - «Gli svizzeri come i talebani? Così si rischia davvero di diventare offensivi». Al consigliere nazionale UDC Marco Chiesa non sono proprio andate giù le parole dell’oncologo Franco Cavalli contro l’iniziativa democentrista 'per l'attuazione dell'espulsione degli stranieri che commettono reati’. Il riferimento è all’intervista che di recente il medico socialista ha rilasciato a Ticinonline/20minuti in vista del voto del 28 febbraio. Diverse le reazioni, anche sui social network, alle parole di Cavalli. E Chiesa è in prima linea. «Non ci sto - sottolinea -. Io preferisco stare dalla parte delle vittime, anziché da quella dei criminali».
Chiesa, cosa non le piace delle parole di Cavalli?
«Il tono strumentale. Cavalli dice che se gli svizzeri votassero sì, diventerebbero come i talebani perché si farebbero giustizia da soli. Ma stiamo scherzando? Cosa dovremmo fare? Sopportare tutto? Io penso che la Svizzera sia un Paese solidale e pronto all’accoglienza. Ma non si può tollerare qualsiasi comportamento. Abbiamo già concesso troppo. E adesso è arrivata l’ora di mettere paletti concreti».
Il movimento di cui fa parte Cavalli, e che ha lanciato un appello urgente agli svizzeri, sta raccogliendo migliaia di adesioni. È sorpreso?
«No, non sono sorpreso. Spesso assistiamo a scollature tra le cosiddette élite intellettuali e il popolo. Capita anche per le questioni legate all'Europa, al burqa o ai minareti. Purtroppo tanta gente preferisce ricamare sulle ideologie, al posto di guardare in faccia la realtà».
E qual è, dal suo punto di vista, la realtà?
«Le statistiche parlano chiaro: da anni stiamo assistendo a un’ondata di criminalità importata. Pensi che il 57% dei reati commessi è perpetrato da stranieri. La persona straniera che commette un reato grave, dunque, deve abbandonare la Svizzera. Punto. Non ci devono essere alterative».
Cavalli, tuttavia, sostiene che di questo passo finirebbero tutti nel calderone. Anche le persone straniere che commettono reati minori. Cosa ne pensa?
«Non è vero. Se parliamo dei reati contro l’ordine e la sicurezza l’espulsione scatterebbe solo nel caso di recidiva. Così come non è vero che i giudici non avrebbero più alcun potere. Sarebbero sempre loro a emanare le sentenze, secondo il codice penale svizzero. E in base al reato pronunciato, scatterebbe poi l’eventuale espulsione. Va anche detto che un criminale straniero non sarà rinviato al suo Paese nel caso in cui questa decisione metterebbe in pericolo la sua vita. Ma, poi, a me sembra strano che si continui a dare per scontato un aspetto cruciale».
Quale?
«Diamo per accettabile il fatto che uno straniero accolto dalla Svizzera, magari quale rifugiato, possa commettere un reato penale. Vi sembra una cosa normale? Perché dovremmo tollerarla? La solidarietà e la permanenza nel nostro Paese bisogna anche meritarsele».
Già. Ma con un espulsione automatica la legge svizzera, secondo Cavalli, andrebbe a cozzare sul diritto internazionale.
«Io pensavo che a Strasburgo difendessero i diritti dell’uomo, non quelli dei criminali».