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Contenuti irresistibili: come catturare l’attenzione e aumentare l’engagement

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Contenuti irresistibili: come catturare l’attenzione e aumentare l’engagement

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I testi che funzionano hanno un principio in comune: aprono un vuoto e non lo chiudono del tutto, perlomeno non subito. Queste tecniche stimolano i meccanismi psicologici che innescano la curiosità e la voglia di andare fino in fondo nella comprensione di un contenuto.

Nel digitale, catturare l’attenzione è solo metà del lavoro. L’altra metà è molto più scomoda: non far "scappare" le persone dopo il primo minuto. Già, perché sono in pochi quelli che sanno costruire un percorso coinvolgente, senza trasformare il sito o la newsletter in una trappola. La domanda corretta da porsi, pertanto, non è “come faccio a farmi notare?”, ma “come faccio a farmi leggere davvero?” I contenuti che funzionano hanno una cosa in comune: aprono un vuoto e non lo chiudono tutto, perlomeno non subito. È il meccanismo della curiosità. In psicologia questo processo viene spiegato bene dalla information-gap theory: quando percepiamo un divario tra ciò che sappiamo e ciò che vorremmo sapere, scatta una spinta a colmarlo. Tradotto per chi scrive: non devi “tenere sulle spine” con fumo e suspense: devi dare informazioni, sì, ma in modo che ogni risposta generi una nuova domanda naturale. È proprio questo che fa restare l’utente incollato al tuo testo. Ecco perché certi contenuti “scorrono” meglio di altri: non perché siano più semplici, ma perché sono più “intelligenti” nella sequenza.

Architettura: piuttosto che semplificare, organizza

Chi bazzica i social ogni giorno è abituato allo scrolling. E agli occhi di questo utente, un blocco monolitico, anche se è scritto bene, sembra una parete. Quindi la soluzione non è tagliare i concetti, ma disporli nel miglior modo possibile. E qui entra un principio di UX che vale oro: si chiama progressive disclosure. In breve, prima mostri l’essenziale e rimandi il resto agli step successivi, senza perdere profondità. Questo è il modo più pulito per ridurre frizione e aumentare il bisogno di esplorazione. Un esempio semplice: una pagina prodotto che “ti porta per mano” perché stratifica informazioni. Prima i punti chiave, poi i dettagli, le recensioni, e ancora le domande, le risposte e infine le alternative. Non ti urla “resta qui”, chiaramente, ma ti offre con costanza “un pezzo in più” da valutare, ed è questo che allunga la permanenza. La filosofia in questione vale per blog e newsletter o ancora per white paper: se il testo è un muro, pochi lo scalano. Se invece è un percorso (capitoli brevi, rimandi sensati, approfondimenti collegati), allora è molto probabile che questo venga ultimato.

Scrolling sì, ma con criterio

Le piattaforme social hanno reso popolare l’infinite scroll. Che funziona perché riduce l’attrito, non essendoci un “fine pagina” che ti obbliga a decidere se proseguire. Ma non è una soluzione universale, come spiega chiaramente Nielsen Norman Group: l’infinite scroll va bene quando navighi “senza obiettivo”, mentre può diventare un problema quando le persone cercano qualcosa di preciso o devono confrontare elementi. In sostanza: sì allo scrolling fluido, ma quando è ben progettato per il tuo contesto. Sul piano visivo, la regola è banale e spesso ignorata: devi far capire che “c’è altro” senza dirlo. Funzionano bene, per intenderci, gli indizi di continuità: un’immagine che “sborda” leggermente, una sezione che non si chiude nettamente, un pattern coerente che suggerisce che vale la pena andare a fondo. Nessun trucco: sono segnali. Le call-to-action classiche (“scarica”, “contattaci”, “compra ora”) spesso interrompono il flusso. In molti casi funziona di più una micro-decisione: un’azione piccola che non spaventa ,ma che ti fa avanzare. Seleziona una preferenza; rispondi a una domanda; scegli un caso studio tra due; apri un box di approfondimento. Duolingo è un esempio utile proprio perché trasforma un obiettivo grande (imparare una lingua) in una sequenza di azioni piccole, minuscole, sostenute da meccaniche come la streak, che rispondono alla logica della progettazione dell’abitudine. Stessa logica, ma in salsa B2B: invece di chiedere subito un form lungo, puoi far scegliere all’utente il tema che gli interessa. E poi portarlo al contenuto giusto: questa è una conversione che arriva per accumulo, non per spinta. La personalizzazione non richiede per forza un algoritmo “da social”. Spesso basta usare bene quei dati di cui sei in possesso: comportamento di lettura, interessi espliciti, pagine visitate, interazioni email. Il punto, sulla base di questi elementi, non è quindi “aggiungere tecnologia” ma evitare di trattare tutti allo stesso modo, premettendo che sei già consapevole che il tuo target è composto da persone che non sono tutte uguali.

Engagement e conversione: non sono nemici, se non li fai litigare

Tempo sulla pagina, scroll, click: sono tutti buoni indizi, certo, ma per capire davvero dove si manifestano dispersioni di attenzione serve guardare la pagina come la vede l’utente. Le scroll heatmaps, ad esempio, mostrano fin dove arrivano le persone e dove smettono di andare avanti. È qui che scopri dettagli che magari possono risultare fastidiosi ma che certamente sono utili: spesso la parte più importante è sotto un punto in cui metà pubblico ha già mollato e magari la CTA è inserita nel posto (e nel momento di lettura) “giusto” per te, ma invisibile per chi legge. Poi arriva la questione centrale: testare. Non solo colori e bottoni. Anche struttura, ordine dei blocchi e ritmo del contenuto. L’errore più comune? Inseguire il tempo di permanenza e magari dimenticare il business, oppure piazzare CTA ovunque, “uccidendo” la lettura. La via di mezzo è più semplice di come ci viene raccontata: le conversioni devono sembrare la progressione naturale di ciò che stai spiegando, non un’interruzione. Pensa a certi contenuti “future of work” pubblicati da aziende come Slack: approfondimenti che parlano di lavoro remoto, di cultura aziendale e produttività, e che poi ti portano a scoprire strumenti e risorse collegate. Nessun pop-up aggressivo, ma conseguenze logiche. Se vuoi una sintesi da tenere bene a mente dopo la lettura di questo approfondimento, ricordati questo: l’attenzione non si trattiene con l’effetto speciale, ma con una sequenza ben costruita.

L’evoluzione della comunicazione e del marketing digitale richiede processi di management sempre più sofisticati per ottenere un ritorno sugli investimenti in linea con gli obiettivi delle aziende. Ed è per questo che noi, ogni giorno, puntiamo a ottimizzare e a raffinare le nostre strategie, allo scopo di valorizzare e rendere proficua la presenza online di decine tra aziende e professionisti, per accrescere il loro business.


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