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Excellence magazine

Intervista a Richard Gere

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Intervista a Richard Gere

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Ai Lettori della nostra rubrica Excellence,

Siamo lieti di annunciare il lancio di una nuova, esclusiva serie di interviste che celebrano le icone del cinema mondiale. Nelle prossime settimane, vi accompagneremo in un viaggio attraverso le cornici più prestigiose—da Cannes a Venezia, da Roma a Londra—per svelare i ritratti intimi e le riflessioni di celebrità di fama internazionale.

Excellence è orgogliosa di inaugurare questi appuntamenti fissi, pensati per condividere con voi la passione per l’arte e l’eccellenza che anima la nostra famiglia. Vi invitiamo a unirvi a noi in questa straordinaria avventura, per rimanere aggiornati e sentirvi parte di un mondo di legami di alto valore.

(Sempre) Un ufficiale e un gentiluomo

L’allure è sempre quella. Il volto anche. La parola chiave di questa intervista? Empatia.

Chiunque ascolti le note di Up Where We Belong di Joe Cocker, non può non vedere nella mente Richard Gere che sfila di bianco vestito per rapire dalla fabbrica la sua donzella, prenderla in braccio e avventurarsi verso un futuro insieme. Sono trascorsi 45 anni, ma Richard Gere continua a essere quell’ufficiale e gentiluomo -allora trentenne - dell’omonimo film. Accade la stessa cosa se si ascolta Call me di Blondie; tutti immaginano Richard déshabillé intento a scegliere la mise del giorno tra svariate cravatte, camicie e giacche, rigorosamente Armani, in American Gigolò. Tutte queste considerazioni non le ho conservate per me, o per voi. Ho dato fiato ai pensieri condividendoli col diretto interessato. Et voilà.

Insomma, manca solo che le canticchi il ritornello di Pretty Woman e poi ho toccato tutti i cliché (il ghiaccio è rotto e lui sorride di gusto).

“Quello che dici è vero. Ma è normale. È il prezzo della notorietà di certi film che hanno segnato delle tappe importanti nella mia carriera. Quando ho girato American Gigolò ero al mio terzo o quarto film, non sapevo nulla di abbigliamento, non sapevo nemmeno fare il nodo alla cravatta. Ho sempre invidiato la vostra classe. Voi italiani sapete come vestirvi e soprattutto avete un talento unico nel far parlare gli abiti”.

In che senso?

“Nel senso che avete quella camminata che muove i vestiti! È come se deste loro vita. Da ragazzino volevo essere come voi. Volevo essere italiano, parlare la vostra lingua, avere il vostro carisma”.

Ne è proprio sicuro?

“Assolutamente! Dove vivevo io, i ragazzi italiani erano quelli che mangiavano bene, avevano il fisico, si vestivano bene… e ci sapevano fare con le donne!”

Perché, lei no?

“Diciamo che c’è un prima e un dopo, e il dopo è segnato da quei film per cui tutti hanno incominciato a riconoscermi. La notorietà aiuta”.

Ora lei è un padre ed un marito felice. È vero che ha conosciuto sua moglie in Italia?

“Sì, a Positano. Ero in Italia perché avevo partecipato al Giffoni Film Festival, e il destino ha voluto che, nella splendida cornice della Costiera Amalfitana, incontrassi mia moglie”.

Lei però non è italiana…

“È spagnola, ma è caliente come voi! Ha il vostro senso della famiglia, ha la vostra empatia, la vostra grinta. C’è qualcosa che accomuna italiani e spagnoli; neanche di fronte a questioni politiche o ambientali, perdete il sorriso”.

È per questo motivo che vi siete spostati a vivere a Madrid? Per dare più colore e calore alla vostra vita?

“Non avrei potuto trovare una frase migliore per spiegarlo. Dopo tanti anni a New York, è giusto cambiare. Mia moglie e i miei figli stanno letteralmente sbocciando…e io anche”.

Se dovesse scegliere tra America e Spagna, sceglierebbe…

“L’Italia naturalmente! Qualche anno fa mi sono persino state consegnate le chiavi della città di Firenze! Ma per rispondere alla domanda, sceglierei la Spagna”.

Lei ha vinto un Golden Globe per il musical Chicago. In molti suoi film la si vede danzare e canticchiare. Mi tolga una curiosità, lei canta sotto la doccia?

“Chi non lo fa! Certo che canto! Il bello della doccia è che fa sentire tutti intonati”.

Ehm… ma canta proprio come faceva in All’ultimo respiro?

“Hai visto quel mio film? È del 1983!”

Sì, poche sere fa. E mi è piaciuto molto! Quindi? Balla anche?

“Ti rispondo se prometti di non scriverlo”.

Va bene! (Mi risponde, ma non posso certo infrangere la mia promessa!). Passiamo alla prossima domanda. Mi svela la sua ricetta per la felicità?

“È un insieme di cose. Come padre sono l’uomo più felice del mondo perché i miei figli sono sani, forti e felici. Come marito sono felice perché ho incontrato una donna meravigliosa. Come uomo sono felice perché ogni giorno cerco di fare qualcosa di buono. E poi, c’è una parola che mi è particolarmente cara, ed è ‘empatia’. Se solo tutti fossimo più amorevoli, più empatici appunto, il mondo sarebbe un posto migliore e di conseguenza saremmo tutti più felici”.

Prima di salutarci ho una curiosità da chiederle. Secondo lei, se mi impegno, posso riuscire a fare le circonduzioni con i manubri appesa a testa in giù come un pipistrello… esattamente come fa lei in American Gigolò?

“Esattamente come me?”

Sì, esattamente come lei.

“Premesso che io ero a torso nudo, che stavo anche imparando una lingua, che quella scena è stata girata parecchie volte e che se non fosse stato per il film io, di mio, non avrei mai fatto una cosa del genere… sì, credo proprio di sì”.

di Barbara Zorzoli

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