Stagione al via, ma i campioni prelevati dal laboratorio cantonale nel 2016 parlano di «problematica della qualità del latte sugli alpeggi»
BELLINZONA - In un certo senso, è la rivincita dell'industria alimentare sul prodotto tipico. Chilometro zero delle materie prime, metodo artigianale di lavorazione, storia e tradizione esibiti a garanzia: portato in palmo di mano con fierezza dai "suoi", sulla carta non ha pari. Alla prova dei fatti, però, si mostra in tutta la sua insicurezza.
Meglio le industrie degli artigiani - Lo dicono le ispezioni del laboratorio cantonale, 7.453 per 461 notifiche di contestazione sfociate in contravvenzione 47 volte nel 2016. Le industrie, dove il numero dei prelievi è incrementato rispetto all'anno precedente, hanno raggiunto comunque, nel complesso, un «livello soddisfacente», secondo l'ultimo resoconto d'esercizio. Riscontro non così netto, invece, fra gli artigiani, che hanno rimediato 42 insufficienze su 212 esami interni.
Attenti anche al salame - Ghiaccio nei cocktail o per raffreddare il pesce, con germi o batteri in 17 casi su 55 (31%); birra dal tenore alcolico scorretto, 10 su 24 (41,7%); salame e insaccati da consumare crudi, veto sul 47% (31 su 65 campioni). Le percentuali di inadeguatezza più elevate è qui che si registrano; ma a deludere maggiormente, vuoi anche per il pregiudizio positivo che accompagna la gastronomia locale, sono latte e derivati negli alpeggi.
Pronte 4mila mucche: che si fa? - Con una stagione ormai al via, 3mila mucche ticinesi e un altro migliaio della Svizzera interna pronte a salire in quota a giugno, vien difficile stare tranquilli. Specie per quanto riguarda il burro, «non conforme» in sette casi su dieci. Problemi anche a 12 cagliate su 28 e oltre il 20% dei formaggi freschi.
Colpa (anche) delle leggi - Che succede, lassù? Per il presidente della Società ticinese economia alpestre, poco sorpreso - dice - dai dati statistici, è soprattutto una questione di normative. «Le leggi sulle derrate alimentari cambiano spesso e adeguarsi subito non è facile. Pian piano l'alpigiano lo fa», osserva Valerio Faretti, che ammette: «Sappiamo di qualche alpeggio fuori norma. Il siero che resta dopo la produzione del formaggio viene scremato e diventa panna con la quale fare il burro. Essendo più acido del latte, richiede maggiora attenzione. Conservare soprattutto è complesso, serve più riguardo».
E dove mettiamo il latte di capra? - I numeri sono comunque modesti. «In Ticino si contano un'ottantina di alpeggi, la metà dei quali fa formaggio d'alpe dop - spiega - Di questi, poi, non tutti fanno il burro. In totale sono 4 milioni di litri l'anno da trasformare». Quanto a dire, però, che quel poco burro non sia sicuro, ne corre. «Non drammatizzerei. Casomai starei più attento al latte di capra: gli animali vengono spesso munti ancora a mano e dunque l'igiene è più precaria».
«Noi lo mangiamo tutti i giorni» - Sarà anche fazioso, ma un buon testimonial è pure Marco Togni di Nante. «Noi lo mangiamo tutti i giorni», giura. La maggior parte del burro che produce, 4 quintali da 130 mucche all'Alpe Pontino nei mesi estivi, finisce poi alle panetterie e «nei panettoni. Durante la cottura, i batteri vengono eliminati». Pizzicato «una volta, nel 2016», spiega tutto con una similitudine: «È come andare a 40 km/h dove il limite è 30. Sei fuori legge, ma non ammazzi nessuno. È panna non pastorizzata, c'è poco da fare».
Buono per il panettone - Poco non vuol dire nulla. «Appena scremata, va messa subito al fresco. I batteri proliferano velocemente. Ogni venti minuti raddoppiano». Un po' il caldo, un po' l'esitazione e il "danno" è fatto. Ma basta altrettanto poco anche per rimediare, se ci si mette d'impegno. Che ne è stato del suo burro non conforme? «L'abbiamo regolarmente consegnato. È stata fatta una controprova, poco dopo: tutto a posto».