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I nostri vestiti sono un problema per l’ambiente

OceanSafe
La quantità di rifiuti tessili cresce in modo impressionante: lo dimostra anche questa foto del fondatore Manuel Schweizer su una spiaggia in Senegal.
I nostri vestiti sono un problema per l’ambiente
Molti dei vestiti che vengono prodotti non vengono mai indossati e finiscono nei mari o nel suolo sotto forma di microplastiche. Una start-up svizzera vuole mettere fine a questo circolo vizioso producendo abiti biodegradabili.

In breve:

    • Ogni anno miliardi di vestiti finiscono nella spazzatura. La quantità di rifiuti tessili cresce in modo impressionante.
    • La start-up svizzera «OceanSafe» ha deciso di mettere fine a questa situazione intollerabile.
    • Grazie a un materiale biodegradabile è possibile far sì che, alla fine del loro ciclo di vita, i nostri abiti non si trasformino in rifiuti dannosi per il nostro pianeta.

Ogni anno vengono prodotti circa cento miliardi di capi di vestiario che molto spesso vengono poi gettati nella spazzatura dopo essere stati indossati solo per breve tempo. La quantità di rifiuti tessili a livello globale cresce in modo impressionante. Nei Paesi come il Ghana e il Senegal, i vecchi abiti formano enormi cumuli di rifiuti, coprono intere strade o vengono sotterrati. Ma ciò che è visibile a occhio nudo è solo una parte del problema. La parte più pericolosa sono i residui invisibili: le microplastiche.

OceanSafe è una start-up svizzera che mira a spezzare questo circolo vizioso. Secondo il fondatore, Manuel Schweizer, la radice del problema è la qualità: «ciò che diventa subito spazzatura è generalmente di pessima qualità fin dall’inizio.» La sua visione: creare abiti biodegradabili che non danneggino né la natura né le persone. L’impresa mira a utilizzare materiali che possano degradarsi nella natura senza lasciare residui e che al contempo siano completamente riciclabili.

«Non vogliamo che gli abiti siano gettati con noncuranza nella natura»
OceanSafe inizia lo sviluppo di ogni prodotto con una domanda: cosa succederà a questo prodotto alla fine del suo ciclo di vita? Idealmente, verrà riconsegnato al produttore, separato nelle sue varie componenti e trasformato in nuovo materiale. L’obiettivo è un circolo chiuso. Ma se uno dei vestiti venisse abbandonato nella natura è necessario che sia biodegradabile e che non lasci nessun residuo.

«Non vogliamo che gli abiti vengano gettati con noncuranza nella natura», spiega Schweizer. «Ma se così fosse, anche sotto forma di microfibre che vengono rilasciate durante il lavaggio, devono essere sicuri per il suolo e i mari.»

Vestiti biodegradabili
In collaborazione con NIKIN, questa start-up svizzera ha creato abiti biodegradabili grazie al nuovo materiale «naNea» sviluppato internamente. «È molto più resistente dei classici tessili, è traspirante e non necessita di additivi chimici», spiega Schweizer. Se indossate regolarmente un «capo naNea» o lo lasciate nell’armadio non succede nulla di diverso dal solito. Sono necessari i microrganismi per avviare il processo di decomposizione. «E senza nessun residuo», assicura il 58enne.

Convincere i grandi marchi
Dopo cinque anni dedicati allo sviluppo, la start-up è ora pronta a pensare in grande e l’obiettivo è decisamente ambizioso: standardizzare il materiale tra i grandi marchi di moda internazionale. «Stiamo discutendo con attori a livello globale», spiega il CEO. Se accetteranno, anche altri marchi minori potrebbero seguire l’esempio e il materiale diventerebbe più economico per tutti. Solo in questo modo è possibile mettere da parte i vecchi materiali e portare un vero cambiamento.

Al giorno d’oggi tuttavia gli abiti sostenibili sono un tema importante solo per un piccolo gruppo target. «Molte persone vorrebbero consumare in modo più sostenibile», spiega Schweizer, «ma non sono in grado di riconoscere quali prodotti sono davvero positivi per l’ambiente.»

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