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TargetDai primi chatbot ai sistemi di NLP: l'evoluzione dell'IA conversazionale

07.02.23 - 18:34
La sintesi tra IA e acquisizione di dati in tempo reale produce contenuti sempre più rilevanti e apprezzati dai clienti
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Dai primi chatbot ai sistemi di NLP: l'evoluzione dell'IA conversazionale

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La sintesi tra IA e acquisizione di dati in tempo reale produce contenuti sempre più rilevanti e apprezzati dai clienti

I chatbot, cioè quelle finestre che si aprono quando chiediamo il supporto di un assistente digitale, sono ciò a cui pensiamo, in buona parte dei casi, se il discorso cade sull’intelligenza artificiale conversazionale. Ma, in realtà, siamo al cospetto di una delle tante possibilità offerte in questo campo.

Che cosa, intanto, si intende per intelligenza artificiale conversazionale e come è nata?

 

La storia dell’intelligenza artificiale conversazionale: dai chatbot ad oggi

Si tratta di una combinazione di tecnologie – fondate sull’apprendimento automatico e sull’elaborazione del linguaggio naturale - che consente alle persone di produrre interazioni simili a quelle umane, ma interfacciandosi con i computer. Il debutto dei chatbot risale al 1966, quando un informatico del MIT, Joseph Weizenbaum, creò “Eliza”, un chatbot basato su un flusso limitato e predeterminato. Eliza era in grado di simulare la conversazione di uno psicoterapeuta attraverso l'uso di una metodologia di script, pattern matching e sostituzione. Sia chiaro, per quanto Eliza fosse in grado di superare una versione limitata del test di Turing - che determina se una macchina può mostrare un comportamento intelligente indistinguibile da quello di un essere umano – e, quindi, di trarre in inganno le persone, che credevano di conversare con un altro essere umano, si limitava, in realtà, ad assecondare le regole e a simulare la conversazione, ma senza un vero e proprio livello di comprensione.

 

Sviluppo del linguaggio naturale artificiale e progresso dell'NLP conversazionale

Nel 1970, Kenneth Mark Colby della Stanford Artificial Intelligence Laboratory, creò il primo programma di NLP: venne chiamato “Parry”. 25 anni più tardi, nel 1995, Richard Wallace introdusse l'Artificial Linguistic Internet Computer Entity (“Alice”), basato sull’Artificial Intelligence Markup Language (AIML) e derivato da Extensible Markup Language (Xml). Come i suoi predecessori, “Alice” era ancora basato su schemi di input che corrispondevano a regole per rispondere alle domande umane e non usava un vero NLP conversazionale, che si basa, invece, su elaborazione del linguaggio naturale (NLP), riconoscimento del parlato (ASR), gestione avanzata dei dialoghi e apprendimento automatico (ML), riuscendo a simulare conversazioni vere e proprie. Questo tipo di NLP utilizza anche il cosiddetto “deep learning”, per ottimizzarsi continuamente grazie - e attraverso - le conversazioni. Da qui, ne deriva una certa flessibilità nel passare da un argomento all'altro, proprio come avviene nel corso di una conversazione tra esseri umani. Per marcare bene i confini, nella sostanza, i chatbot - fondati su regole o script come i loro predecessori - sono più adatti a fornire interazioni basate sulle domande più frequenti; l'NLP conversazionale, invece, può assorbire feedback dai clienti e imparare in tempo reale il loro valore. Utilizzando un chatbot NLP conversazionale, le richieste di base, come le date di consegna e i numeri di tracking, possono essere gestite rapidamente, mentre le richieste più complesse possono essere indirizzate a rappresentanti del servizio clienti. Questo aiuta a risolvere i problemi dei clienti al primo passaggio, ma evita, anche, frustrazioni derivanti da risposte automatizzate.

 

Clienti e professionisti hanno fiducia nelle soluzioni di IA conversazionale?

È noto, come peraltro scritto all’inizio di questo articolo e come emerso da un sondaggio condotto dal MIT Technology Review su 1.004 dirigenti aziendali, che una delle prassi più diffuse consiste, oggi, nell’utilizzo dei chatbot per imitare le conversazioni umane e migliorare l'esperienza dei clienti. Partendo da questa base, non desta sorpresa quanto è emerso da un rapporto di Capgemini, AI and the Ethical Conundrum, il quale indica che il 54% dei clienti interagisce ogni giorno con le aziende che utilizzano chatbot, assistenti digitali, riconoscimento facciale e scanner biometrici. Quasi il 50% di questi, inoltre, considera affidabili le interazioni con l'IA: nel 2018, per inquadrare il trend, questa percentuale si attestava attorno al 30%. Ergo: quello che meno di cinque anni fa veniva percepito come una sorta di fenomeno “anomalo”, ora sta iniziando a diventare la norma, complici i consensi guadagnati costantemente – in molti settori e applicazioni – dall’utilizzo dell'IA.

Ma va considerato un altro aspetto: non sono esclusivamente i clienti che iniziano a fidarsi dell'IA conversazionale. Il rapporto annuale AI at Work di Oracle e Future Workplace – già nel 2019 - aveva cristallizzato una situazione per certi versi inaspettata: il 64% dei dipendenti si fiderebbe di più di un chatbot AI che del proprio manager. Non solo: il 50% di questi, per ottenere un consiglio, si era rivolto a un chatbot AI piuttosto che al proprio “superiore”. Inoltre, il 65% dei dipendenti ha dichiarato di essere grato ed entusiasta di poter contare su "colleghi" prodotti dall’intelligenza artificiale.

 

L’impatto sul quotidiano e l’iper-personalizzazione

La larghissima diffusione di smart speaker e assistenti virtuali, giocoforza, ha facilitato l'accettazione dell'IA conversazionale anche nei contesti familiari. Google, a tal proposito, ha diffuso un dato secondo cui il 53% delle persone in possesso di uno smart speaker ha dichiarato di dialogare in modo naturale con questi dispositivi. Chiaramente, il comparto in questione sta attraversando un’ascesa esponenziale anche in ambito aziendale, in forza della sempre maggiore spiccata capacità di contestualizzare le conversazioni, che assumono una caratterizzazione molto più personalizzata rispetto al passato. L’alchimia tra intelligenza artificiale e acquisizione di dati in tempo reale, insomma, permette la generazione di contenuti sempre più rilevanti per le persone e apprezzati dai clienti.

La personalizzazione nel dialogo tra brand e clienti, che sta assumendo una crescita qualitativa notevole anche grazie allo sviluppo dell’intelligenza artificiale conversazionale, è uno dei pilastri attorno a cui ruotano le strategie che elaboriamo ogni giorno per offrire un ventaglio di soluzioni innovative che possono incidere sulla crescita tangibile del business di aziende e professionisti.

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Questo articolo è stato realizzato da Linkfloyd Sagl, non fa parte del contenuto redazionale.
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