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La strage silenziosa dei bambini in Cina

Entrano nelle scuole armati di coltello e colpiscono bimbi e insegnanti. Succede almeno una volta all'anno, ma nessuno ne parla.
Entrano nelle scuole armati di coltello e colpiscono bimbi e insegnanti. Succede almeno una volta all'anno, ma nessuno ne parla.

Ennesima mattinata di sangue in una scuola cinese. A Lianjiang, nella provincia del Guangdong, un uomo armato di coltello ha ucciso, nella mattina di lunedì 10 luglio, una maestra, due genitori e tre bambini che si apprestavano a entrare in un asilo cittadino. Anche in questo caso, le informazioni fornite dalla polizia sono state, a dir poco sibilline.

È stato detto che l'assassino si chiama Wu, ha venticinque anni e «ha agito intenzionalmente». Secondo quanto riferito dalla rete statale China News Network l'attacco è avvenuto intorno alle 7:40 del mattino quando il giovane è arrivato all'asilo portando con sé un coltello con il quale si è scagliato contro i bambini e i genitori in attesa di entrare all'asilo.

L'uomo è stato arrestato poco dopo l'aggressione ed è molto probabile che tra qualche mese, così come accaduto in casi simili, venga comunicata la sua condanna a morte senza alcun'altra informazione ulteriore. La strategia del governo è quella di voler mettere tutto a tacere il più velocemente possibile e in effetti, in Occidente, si parla pochissimo dei tanti casi di aggressione di bambini delle scuole elementari e materne cinesi mentre si parla spesso, e con dovizia di particolari, di quanto succede similarmente negli Stati Uniti.

ReutersUna piccola vittima di un'assalto all'arma bianca nella regione dello Xinjang, nel 2005.

Una “vendetta sulla società”

Eppure, nonostante il silenzio imposto dalla censura di Stato, da almeno un decennio in Cina si assiste a una lunga scia di sangue che vede come vittime dei bambini in età scolare e come aggressori giovani uomini, a parte qualche eccezione, che dicono di agire sotto l'impulso della rabbia e della voglia di vendetta.

Si parla genericamente di “baofu shehu”, ossia vendetta sulla società, ma la censura impedisce alle persone di poter riflettere e discutere del caso in maniera approfondita, a differenza di ciò che avviene nei social media dove la notizia di quanto accaduto nella scuola di Guangdong, dopo alcune ore dal fatto, era già stata visualizzata oltre centotrenta milioni di volte.

Alle persone non è dato poter manifestare preoccupazione o rabbia per tali fatti criminosi e tanto meno sono permesse le manifestazioni di pubblico dolore. Come detto da un testimone dell'aggressione alla scuola di Guangdong alla Cnn «I vaccini sono difettosi, il cibo è difettoso e in questo momento anche la sicurezza è problematica».

Dopo gli attacchi alle scuole verificatisi dal 2020 in poi, il governo aveva promesso di aumentare la sicurezza degli istituti scolastici, garantendo loro una guardia armata, ma le parole sono rimaste senza seguito. Dal 2004 si è verificato almeno un grande attacco all'anno, con una intensificazione dal 2010 in poi, e fino a ora sono circa novanta le persone morte e oltre quattrocentosettanta feriti. In Cina è severamente vietato ai cittadini di possedere armi da fuoco ma questo non sembra scoraggiare gli aggressori che agiscono muniti di coltelli, esplosivi e usando persino le proprie automobili i per investire le vittime predestinate.

ReutersUno studente di una scuola elementare di Shanghai viene portato d'urgenza in ospedale, nel 2013.

2010, anno di sangue

Il 23 marzo del 2010, il quarantunenne Zheng Minsheng uccise otto bambini di una scuola elementare di Nanping, nella provincia di Fujian, con un coltello da cucina. Questo avvenimento ebbe una eccezionale eco mediatica e appena un mese dopo l'aggressione l'uomo venne giustiziato. In seguito emerse che Zheng Minsheng avesse problemi mentali mentre la polizia continuava ad affermare che l'aggressore avesse agito per aver subito “un trattamento ingiusto” da parte della ricca famiglia della propria fidanzata.

Dopo neanche un mese, il 13 aprile, si ebbe un nuovo attacco alla Xizhen Primary School di Xizhen, nel sud del Guangxi, nel quale furono uccisi otto bambini e una anziana passante. Vennero ferite anche cinque persone, una coppia di trentenni, due bambini di sette e dodici anni e una bambina di sette anni. L'aggressore, il quarantenne Yang Jiaqin agì utilizzando un coltello e venne arrestato immediatamente dopo aver commesso il fatto. Il 28 aprile, nonostante Zeng Minheng fosse stato condannato a morte da poche ore, Chen Kangbing uccise sedici studenti e un insegnate alla scuola elementare Hongfu di Leizhou, nel Guangdong. L'uomo era un insegnante di un'altra scuola elementare ma si trovava in congedo per un forte esaurimento nervoso.

ReutersUna delle vittime dell'assalto di un bidello armato, in una scuola di pechino, nel 2004.

A giugno venne condannato a morte dal tribunale preposto a esaminare il suo caso. Il 29 aprile dello stesso anno, a Taixing, il disoccupato quarantasettenne disoccupato Xu Yuyuan accoltellò ventotto bambini di circa quattro anni, due insegnanti e una guardia giurata mentre il giorno dopo, a Weinfang, a Shandong, Wang Yonglai usò un martello e colpì alla testa numerosi bambini in età prescolare per poi suicidarsi con la benzina che aveva portato con sé.

A maggio dello stesso anno ci furono numerosi altri attacchi tra cui quello condotto con una mannaia da Wu Huanming, di quarantotto anni, nell'asilo di Hanzhong, nello Shaanxi, nel quale rimasero uccisi sette bambini e due adulti e ferite altre undici persone. L'uomo, che successivamente si suicidò in casa sua, era il proprietario dell'asilo privato del tempio di Shangshui ed era stato coinvolto in una disputa amministrativa con l'amministratore della scuola. 

Ad agosto, invece, il ventiseienne Fang Jiantang, armato di un coltello con una lama di 60 cm, si scagliò contro i bambini dell'asilo di Zibo, nella provincia di Shandong, uccidendo tre studenti e un insegnante e ferendo altri tre bambini e quattro insegnanti. Negli anni successivi, gli attacchi nei confronti di giovani studenti continuarono a verificarsi numerosi senza che la politica del governo cinese riuscisse a fermare il drammatico fenomeno.

ReutersUn'esercitazione per sapere come comportarsi durante un'aggressione, in una scuola di Hefei, nel 2005.

Non solo con le lame

Nonostante la maggior parte dei casi vede sempre l'aggressore utilizzare un coltello, in alcuni casi le aggressioni sono state condotte con metodi diversi come nel settembre 2013 quando due adulti furono uccisi, e quarantaquattro persone, tra cui diversi bambini, rimasero ferite all'ingresso della scuola elementare di Guilin per colpa di materiale esplosivo. Nello scoppio rimase ucciso anche lo stesso aggressore.

Una dinamica simile si ebbe nel giugno del 2017 quando un ventiduenne di nome Xu Taoran uccise otto persone nell'asilo nella contea di Feng Xuzhou, e ne ferì altre sessantacinque dopo aver fatto esplodere un ordigno rudimentale di sua fabbricazione. Sembra che il giovane soffrisse di problemi mentali e fosse ossessionato dal pensiero della morte. Nel maggio del 2017, un autista diede fuoco allo scuolabus su cui prestava servizio come conducente, nella città orientale di Weihai, uccidendo undici bambini e un insegnate. Anche l'uomo che, secondo le ricostruzioni si era detto arrabbiato per la perdita degli straordinari, rimase ucciso all'interno dell'autobus.

Nel 2018, un uomo investì intenzionalmente una fila di bambini che stavano attraversando la strada fuori dalla scuola di Huludao, uccidendone quasi una decina mentre nel 2019, più di cinquanta persone, quasi tutte bambini piccoli, sono state ricoverate a Kaiyuan, nella provincia di Yunnan, dopo essere stati spruzzati con una sostanza chimica corrosiva da un uomo che, come frettolosamente dichiarato dalle autorità, «voleva vendicarsi della società». Quest'anno, oltre al caso della scuola materna di Liangjiang, vi era stato il caso di uno studente affetto da problemi mentali che aveva accoltellato sette persone nel campus di Qingdao dell'Università di Scienza e Tecnologia dello Shandong e l'attacco condotto, lo scorso maggio, da un liceale che, dopo aver ucciso la madre e due vicini di casa, si è recato al campus di Tongzhou e accoltellato tre persone.

ReutersGenitori in lacrime dopo una strage a Shanghai, nel 2018.

Solitudine e disagio, dietro alla violenza

Nonostante non ci sia da parte degli esperti una lettura univoca sul motivo fondante di tali aggressioni, in molti sostengono la necessità di puntare il dito sul fallimentare modo di diagnosticare e trattare i problemi mentali in Cina. Se è vero, infatti, che molte persone si sentono vittime dei rapidi cambiamenti sociali in atto in questi anni, a causa della privatizzazione e della diminuzione della sicurezza sociale, è pur vero che la malattia mentale rimanga comunque uno stigma sociale di cui è meglio non parlare.

Il fatto stesso che tutti i casi di aggressione a danno di soggetti così piccoli e vulnerabili, come gli studenti in età scolare e prescolare, venga sbrigativamente classificata come una “vendetta sociale” la dice lunga sullo scarso desiderio delle autorità cinesi di approfondire i tanti casi di disagio mentale che hanno spinto gli aggressori ad agire. Non manca anche chi indica nella politica del figlio unico, portata avanti dal governo cinese dal 1979 fino a tempi recenti, una possibile causa dell'aumento dell'aggressività in tanti giovani uomini, frustrati dal non avere una compagna.

Uno studio del 2013 ha rilevato che gli individui nati nell'ambito di questa peculiare politica avevano maggiori probabilità di sentirsi isolati e socialmente inattivi. Quale che sia la causa, comunque, rimane il fatto che, con una frequenza allarmante, troppe giovanissime vite vengano spente da violenti senza che, fatto ancor più grave, lo Stato faccia qualcosa per impedirlo.


Appendice 1

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ReutersUna piccola vittima di un'assalto all'arma bianca nella regione dello Xinjang, nel 2005.

ReutersUno studente di una scuola elementare di Shanghai viene portato d'urgenza in ospedale, nel 2013.

ReutersUna delle vittime dell'assalto di un bidello armato, in una scuola di pechino, nel 2004.

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ReutersGenitori in lacrime dopo una strage a Shanghai, nel 2018.