Fare le cose con tatto significa, in un certo senso, garantirsi il lungo termine e avere qualche elemento in più per dire che si è fatta la cosa giusta
Lunedì scorso, il direttore della Regione Ticino Matteo Caratti suggeriva che ci vuole del tatto nel fare le cose, anche – forse soprattutto – quando a farle sono personaggi pubblici. Il tatto, in educazione, assume una valenza davvero significativa poiché è quello stile, quella delicatezza, quel modo di fare che ti permette di capire che puoi, come individuo con un nome e un cognome, giocare una parte, e molto importante, nelle decisioni che prendi e che queste non possono essere delegate unicamente agli interessi di parte, ai processi o, peggio ancora, ai software.
Detto in altri termini, il tatto di cui parla Caratti è quel modo di essere che ti permette di guardare oltre a ciò che stai strettamente facendo e considerare che gli effetti di una decisione si misurano – forse, ancora una volta: soprattutto – nella qualità delle relazioni tra le persone prima ancora che tra i gruppi di parte. In educazione, e lo abbiamo scritto molte volte, ci vogliono tempi lunghi, le stagioni, gli anni prima di vedere il risultato del proprio pensare e del proprio agire; fare le cose con tatto significa, in un certo senso, garantirsi il lungo termine e avere qualche elemento in più per dire che si è fatta la cosa giusta poiché è indifferente ciò che fai, ma stai certo che qualunque cosa tu faccia c'è un ragazzino che ti sta guardando.