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Woodstock 1999: doveva essere una festa, fu il casino più grande di sempre

Fra caldo torrido, droghe e malumori il remake del celebre festival hippie fu un disastro clamoroso. Ecco perché
Fra caldo torrido, droghe e malumori il remake del celebre festival hippie fu un disastro clamoroso. Ecco perché

Raramente un evento celebrativo si è dimostrato essere un disastro paragonabile al festival di Woodstock ’99. L’idea era quella di rivivere lo spirito “peace&love” dei mitici anni ’60 e celebrare i 30 anni dal mitico evento che segnò più generazioni di giovani. Il risultato fu più simile a un “si salvi chi può” generalizzato.

I giornali dell’epoca parlarono dell’evento come del “giorno in cui la musica è morta”, motivo per cui si è voluto presto confinare nell’oblio il disastroso festival, caratterizzato da violenze, incendi e anche un morto, illudendosi che la memoria collettiva lo avrebbe presto dimenticato. Questa opera di rimozione, è stata interrotta dal documentario targato Netflix dal titolo “Trainwreck: Woodstock’99”, disponibile sulla piattaforma streaming dallo scorso 3 agosto.

La sinossi di “Trainwreck”, espressione colorita usata per dire che i problemi non si presentano mai da soli, spiega che «questa docuserie va dietro le quinte per rivelare l’ego, l’avidità e la musica che hanno alimentato tre giorni di caos totale». Il documentario, diviso in 3 episodi da 45 minuti ciascuno, cerca di ripercorrere quanto accaduto durante il festival celebrativo attraverso materiale d’archivio e interviste esclusive con alcuni degli artisti che si esibirono sul palco. Jonathan Davis, frontman dei Korn, ha di recente affermato che “quando lo vedi con i tuoi occhi è dieci volte più scioccante”.

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Una folla riarsa

E ciò che avvenne nell’ex base aerea Griffis, a  Rome, nello stato di New York, tra il 22 ed il 25 luglio 1999, fu davvero qualcosa che non si era mai visto fino ad allora. Più di 400 mila spettatori si radunarono insieme per assistere alle esibizioni dal vivo di alcune delle rock band più in voga del momento, e celebrare lo spirito di amicizia e fratellanza del precedente Woodstock, ma il risultato fu quello di un weekend di devastazione e violenza.

Alcuni problemi furono evidenti fin dall’inizio: un così alto numero di persone si trovarono a soffrire giornate di caldo torrido in una spianata assolata e con pochissimo spazio a disposizione per il campeggio.

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La base militare era fatta di asfalto e cemento, due materiali che assorbono il calore, e i due palchi principali erano separati da una camminata di oltre due chilometri da percorrere sotto il sole cocente. Il Baltimore Sun scrisse che «a metà del weekend più di 700 persone sono state soccorse per disidratazione e colpi di calore». Il numero delle toilette era assolutamente insufficiente e presto, anche le poche funzionanti, cessarono di esserlo. Il cibo e le bevande avevano un costo altissimo.

Mentre il festival di Woodstock del ’69  disponeva di cucine di cui servirsi gratuitamente, in quello del ’99 l’acqua fu venduta al prezzo di 4 dollari a bottiglia. Con temperature che oscillavano tra i 30 e i 40 gradi l’acqua era una evidente necessità, in molti però avevano sottovalutato la raccomandazione di portarsi delle scorte da casa e l’acqua divenne presto un bene di prima necessità reperibile solo a un prezzo esorbitante.

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Teste calde, anzi roventi

Il caldo, la disidratazione, le droghe, tutto contribuì a scaldare gli animi degli spettatori esausti e arrabbiati che, fomentati da alcuni artisti sul palco, diedero il peggio di sé. Non bisogna poi dimenticare che, se nel primo Woodstock la scelta musicale prevedeva artisti come Joan Baez e Ravi Shankar, il festival celebrativo sembrava essere più un evento hard rock-punk con bel altro effetto sul pubblico. Nella docuserie di Netflix questo aspetto viene approfondito con lo sforzo di spiegare il contesto storico in cui il festival è stato organizzato.

Come detto in un articolo del Guardian, Woodstock’99 ha avuto luogo in un periodo un cui la cultura statunitense era fortemente connotata da modelli di uomini in crisi pronti ad esplodere, come nei film Fight Club o American Beauty. Anche nel mondo della musica spopolavano tali modelli e i Limp Bizkit, band molto in voga in quel momento, avevano sintetizzato lo spirito del tempo nello slogan “Break Stuff” (‘rompete ogni cosa’), titolo del loro singolo scalaclassifche.

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Un’idea simile deve essere passata nella testa di coloro che, eccitati dal caldo e dalle droghe, si trovarono a prendere parte all’evento. Dai filmati dell’epoca si vede la folla che, dal secondo giorno, cambia radicalmente e gli artisti e i presentatori di Mtv assistere a tale trasformazione con un misto di stupore e orrore.

Come spiegato da Tom Wardle, produttore esecutivo dello show, «Quando le cose si fanno veramente buie, un partecipante ruba un furgone e lo guida dove si svolgeva un rave con il DJ set di Fat Boy Slim, o la folla inizia ad abbattere la torre dell’amplificazione, è davvero terrificante. C’è sangue. Ci sono aggressioni sessuali. È carneficina». Wardle aggiunge anche che «è una folla quasi esclusivamente bianca e maschile che sta reagendo in tale modo (...) essere privato dell’accesso all’acqua, all’ombra, al cibo ed essere derubato fa andare il comportamento umano verso luoghi bui».

 

Inno generazionale con chitarra distorta

Non sarà un caso, comunque, se proprio durante le esibizioni dei Limp Bizkit e dei Red Hot Chili Peppers si verificarono le violenze più gravi. Durante l’esecuzione di ‘Break Stuff’, il frontman della band di Jacksonville, incitò la folla alla rivolta con parole quali “Non addolcitevi. E’ quello che Alanis Morissette ha fatto a voi figli di puttana”.

Ciò portò la folla a porre in essere comportamenti criminali come la distruzione dei bancomat e dei bagni chimici presenti nella zona oltre che di altre strutture prossime al palco. Alcuni iniziarono a svaligiare i camion che contenevano bevande e mercanzia da vendere ai concerti mentre altri assalirono una stazione radiofonica semovente cercando di distruggerla.

Fatto ancora più drammatico fu lo stupro di gruppo che si consumò a danno di una crowdsurfer, cioè chi si fa passare sopra il pubblico durante i concerti. Non si trattò di un evento isolato e vi furono altri episodi di violenza sessuale anche se, come detto da un investigatore della polizia al Washington Post «solo una manciata vennero denunciate ma la maggior parte rimasero nascoste». 

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Una domenica di fuoco

La domenica sera, mentre il festival volgeva al termine, con esibizione dei Red Hot Chili Pepper davanti ad un pubblico «esausto, disidratato e drogato e che aveva passato gran parte delle 48 ore precedenti a sguazzare in pozze di effluenti umani», gli organizzatori, in uno strenuo tentativo di rivivere lo spirito pacifista del precedente festival di Woodstock, decisero di distribuire al pubblico delle candele per una veglia contro la violenza armata.

Ma le candele stesse diventano armi nelle mani delle persone che decisero di usarle per appiccare degli incendi utilizzando le staccionate in legno divelte, le bottiglie in plastica disseminate ovunque e qualsiasi cosa si potesse rivelare utile allo scopo. Il bilancio del festival contò 4 indagini per violenza sessuale, una vittima, David Derosia, crollato a terra durante il concerto dei Metallica e morto pochi giorni dopo in ospedale per un colpo di calore, sei feriti gravi e centinaia di migliaia di dollari di danni. Un totale disastro, sia per gli organizzatori dell’evento che per i responsabili dell’ordine pubblico.

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Bisogna infatti ricordare che i 500 uomini della Polizia dello stato di New York, avrebbero dovuto ricevere aiuto nello svolgimento del proprio compito da centinaia di volontari. Molti di questi, però, decisero all’ultimo di abbandonare il lavoro e mischiarsi tra la folla, lasciando la polizia a gestire da sola una situazione fuori controllo. Se è un fatto innegabile che Woodstock’99 sia stato un festival noto più per i gravi fatti di cronaca di cui si è caratterizzato che per la buona musica, Wardle rifiuta però la mitizzazione del festival di Woodstock del 1969: «C’è stato un momento nel 1969-racconta Wardle-in cui i partecipanti, studi di essere sovraccarichi di hot dog, incendiarono alcuni stand. Ci sono state aggressioni sessuali e stupri anche nell’originale Woodstock. La storia sta creando questa mitologia intorno all’originale Woodstock. L’originale Woodstock non è mai esistito davvero, sai?».


Appendice 1

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