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Genitori infantili e bambini "adultizzati": tutti i rischi di un gioco pericoloso

Sempre più spesso bambini e adolescenti vengono spinti dentro un mondo che non è fatto per loro: quello dei contenuti social. L'esperta: «Livelli elevati di stress e tensione psicologica».
Sempre più spesso bambini e adolescenti vengono spinti dentro un mondo che non è fatto per loro: quello dei contenuti social. L'esperta: «Livelli elevati di stress e tensione psicologica».

Internet è ovunque, ma non per tutti. Ergo, non dovrebbe essere uno spazio alla portata dei bambini: su questo, in teoria, siamo tutti d’accordo. Le piattaforme social, Instagram e TikTok in testa, cercano di correre ai ripari con filtri, blocchi dei genitori e avvisi pensati per proteggerli.

L'adultizzazione dei bambini - La realtà, però, è ben diversa. Sempre più spesso bambini e adolescenti vengono spinti dentro un mondo che non è fatto per loro: quello dei contenuti social che li espongono in contesti e in comportamenti che appartengono a una sfera di adulti. Ma cosa significa davvero questa “adultizzazione”? E quali rischi nasconde per la loro crescita?

«Il termine è stato coniato dal sociologo statunitense Neil Postman nel 1985», ci spiega Annalisa Caprari, medico specialista in psichiatria e psicoterapia infantile. «Sosteneva che l’infanzia stesse scomparendo a seguito dell'avvento dei media e della conseguente trasformazione della comunicazione, la quale annullava la distanza e le distinzioni tra infanzia ed età adulta».

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Tra responsabilità e crescita - Il “bambino adultizzato” è un bambino «precocemente esposto ai contenuti dell’età adulta, precocemente responsabilizzato e portato ad assumersi un ruolo da adulto. Malgrado questi possa apparire in grado di sostenere tali ruoli, non ha spesso né la maturità né le competenze affettive».

All'origine di questa evoluzione ci possono essere i motivi più svariati. «Può avvenire sotto la spinta di stili educativi sociali e genitoriali, improntati a una indipendenza precoce. Ma può realizzarsi anche a seguito di esperienze di particolare difficoltà che portano il bambino, suo malgrado, a dover “crescere in fretta” per adattarsi a un ambiente non accogliente od ostile. Questo è il caso dei bambini che vivono in condizioni di significativo svantaggio sociale o di abbandono».

Malattie, separazioni, lutti - In altri casi lo sviluppo di un’adultizzazione precoce è «conseguenza diretta delle difficoltà del nucleo familiare (malattie, separazioni, lutti e divorzi), che portano il bambino ad assumersi un ruolo da adulto a tutela del genitore fragile. Questo fenomeno determina l’inversione del normale ruolo genitore-figlio e si parla, in questo caso, di bambino parentificato».

Secondo Caprari negli anni abbiamo assistito a un progressivo assottigliamento dei confini tra infanzia ed età adulta. «I bambini sono incoraggiati ad assumersi maggiori responsabilità, vengono caricati di aspettative genitoriali ed esposti, sia attraverso i media che la tecnologia, a forme di intrattenimento pensati per un pubblico adulto».

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Idealizzare le nuove generazioni - Ma non è tutto. «Un ulteriore fenomeno sociale è dato dalla tendenza, diffusa nel mondo degli adulti, di idealizzare le nuove generazioni e di affidarsi a loro per affrontare la realtà del mondo esterno. Un esempio è l’intervento di Greta Thunberg alle Nazioni Unite dove, una ragazza adolescente è divenuta il simbolo della lotta globale contro la crisi climatica».

I ruoli sembrano invertirsi. Ci troviamo di fronte a un mondo degli adulti ancora legato a quello infantile. «Si pensi alle forme di intrattenimento come le serie televisive o i videogiochi che, pur avendo dei contenuti “infantili”, vengono utilizzati ampiamente dagli adulti. La società moderna vede quindi gli adulti più infantili, mentre i bambini, a cui sono stati rivelati i segreti dell'età adulta, diventano apparentemente maturi. Tuttavia, tale maturità è spesso solo esteriore».

Il prezzo da pagare - Il bambino adultizzato è generalmente un bambino non adeguatamente considerato in quelli che sono i suoi bisogni. «Le sfide e i compiti che gli vengono attribuiti non sono congruenti con il suo grado di maturità, egli si impegna e magari riesce anche ad assolverli, ma a costo di sacrificare la parte di sé che è ancora bisognosa di accudimento e protezione. Il bambino fa ciò che gli è richiesto, mettendo da parte le sue esigenze infantili, anche a costo del suo benessere».

L’ambiente spesso non è di aiuto «perché rinforza positivamente il bambino adultizzato in quanto appare più maturo dei coetanei. Tuttavia il vissuto personale è spesso negativo, associato a sentimenti di colpa e di inadeguatezza, perché i compiti che il giovane si ritrova ad affrontare sono per lui ardui».

Le difficoltà emotive - Ma quali rischi corre un bambino esposto a questo tipo di rappresentazione precoce? «A tale “sacrificio” possono conseguire delle difficoltà emotive più o meno complesse, bassa autostima, problemi relazionali nelle età successive, conflittualità intra-familiare».

I giovani che subiscono un'adultificazione precoce «sperimentano spesso livelli elevati di stress e tensione psicologica, poiché faticano a far fronte al peso di maggiori responsabilità. Inoltre, questo tipo di carico emotivo e pratico, può portare alla comparsa di quello che tecnicamente si definisce la costituzione di un "falso sé", cioè di una personalità non autentica, costruita sulla base delle esigenze altrui».

Il ruolo dei social e della tecnologia - Insomma, trattare i bambini come degli adulti può avere un impatto negativo. «Sebbene possa essere una tentazione per molti genitori, che potrebbero sentirsi appagati dall’avere un figlio eccezionalmente maturo e responsabile, “bruciare le tappe” rincorrendo una “performance” o la rapida acquisizione di competenze, a lungo andare, non paga».

Una tendenza alimentata dalla tecnologia. «È una finestra aperta sul mondo degli adulti, un ambito che affascina i giovani, in cui riescono ad apprendere con velocità e quindi, spesso, a prevalere sui propri genitori. Un falso mito da sfatare è però quello che la generazione dei “nativi digitali”, impari spontaneamente a destreggiarsi con la tecnologia e non necessiti del sostegno del genitore che, invece, può solo imparare dal figlio».

Pur riconoscendone le insidie, «la tecnologia è divenuta oggi uno strumento irrinunciabile anche per le nuove generazioni. Di conseguenza andrebbero evitate sia la demonizzazione che l’idealizzazione dei media preparando, invece, i minori a un utilizzo “responsabile” e “consapevole” delle tecnologie. E ciò attraverso un opportuno accompagnamento e l’esposizione progressiva».

Un patto digitale - Non si può parlare di social senza considerare anche gli smartphone. «Uno dei problemi maggiori di utilizzo di questi dispositivi è che a scuola tutti li hanno», ci spiega Laura Brenni, tra i fondatori dell'associazione Obiettivo 14+. «I ragazzi che non ce l'hanno si sentono esclusi».

Una problematica che si sviluppa non solo nei primi anni delle scuole medie ma anche alle elementari. «L'idea alla base della nostra associazione è semplice: vogliamo promuovere un utilizzo consapevole dello smartphone e di altri dispositivi connessi». Come? «Facendo seguito agli studi scientifici nell'ambito, e convinti che l'infanzia sia troppo breve per essere passata davanti a un piccolo schermo, mettiamo in rete quei genitori che desiderano attendere almeno fino ai 14 anni prima di dare uno smartphone o tablet personale ai propri figli e alle proprie figlie».

Chi aderisce all'associazione accetta un "patto digitale". «Si tratta di una linea di condotta che si applica sia ai ragazzi che agli adulti. Anche noi siamo vittime di questa iper-comunicazione».

Non si tratta però di un divieto assoluto agli smartphone che ormai fanno parte del quotidiano. «Bisogna avvicinare i ragazzi a questi strumenti in modo costruttivo e non lasciarli da soli esposti all'infinità della rete». Fino ai 14 anni, per esempio, no ai dispositivi digitali personali connessi in rete. Dopo questa soglia, alla consegna dello smartphone personale l'associazione prevede un accordo con il ragazzo e l'accompagnamento a una progressiva autonomia nell’utilizzo dei dispositivi connessi. Ma fino ai 16 anni non è previsto un account personale sui social network.



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