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Dentro le chat criptate delle mafie: «La Svizzera è un porto sicuro»

Criptofonini e sistemi che consentono alle organizzazioni criminali di gestire in sicurezza i traffici. Una sfida complessa per le autorità.
Criptofonini e sistemi che consentono alle organizzazioni criminali di gestire in sicurezza i traffici. Una sfida complessa per le autorità.
"Mafia e tecnologia" è il tema a cui è stato dedicato l'evento annuale dell'Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata.

Usare il nuovo per continuare a fare "il vecchio". Il binomio tra la tecnologia e la "tradizione" è un perno imprescindibile anche per le attività delle organizzazioni criminali, che attraverso le comunicazioni gestiscono e, soprattutto, "accumulano" il loro cosiddetto capitale relazionale. «Un capitale di cui la mafia non può fare a meno». Anche alle nostre latitudini.

Lo ha messo subito in chiaro, in apertura della conferenza annuale dell'Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata, tenutasi martedì 17 ottobre nell'Auditorium dell'Università della Svizzera italiana, la responsabile accademica Annamaria Astrologo. "Mafia e tecnologia" - per citare il titolo dell'evento - si muovono a braccetto. E lo fanno di corsa, senza rispettare alcun "limite di velocità", a differenza di chi sta e lavora dall'altra parte della barricata. Quella giusta. «Noi siamo obbligati ad attenerci alle leggi, a differenza di chi delinque. Siamo tenuti a rispettare le norme sui dati. Ci sono paletti molto rigorosi», ha sottolineato Fabian Kühner, Capo divisione Operazioni e sostituto capo della Polizia Giudiziaria federale (PGF).

Ma quali sono le modalità con cui le mafie traggono vantaggio dalla tecnologia? Siamo in un campo molto ampio, in cui si possono trovare comunicazioni criptate, transazioni finanziarie e a traffici di ogni tipo, dalla droga alle armi. Detto questo, «non credo che il tempo dei pizzini sia passato», ha precisato Astrologo. E i fatti di cronaca dell'ultimo anno - su tutti l'arresto, lo scorso gennaio, di Matteo Messina Denaro - lo hanno dimostrato. Ma, anche con le innovazioni tecnologiche di mezzo, «il discorso non si discosta da quel genere di mentalità», ha spiegato Egidio Lardo, tenente colonnello del Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri. Di nuovo quel binomio, tecnologia e tradizione, che si rinnova.

Tipress«Il capitale relazionale è un un capitale di cui la mafia non può fare a meno. Anche alle nostre latitudini», Annamaria Astrologo, responsabile accademica dell'Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata.

Mafie senza "limiti di velocità" e autorità che rincorrono
Le comunicazioni criptate - in particolare la messaggistica - hanno rappresentato, dal loro avvento, un'occasione per la criminalità organizzata e, di riflesso, una sfida obbligata per le autorità, costrette alla rincorsa. Una sfida, inevitabilmente, dai molteplici volti: i fronti sono tecnici, investigativi e giudiziari. In questa fotografia, la "criptofonia" siede in prima fila; una galassia fatta dai cosiddetti "criptofonini" e da una serie di applicazioni, alcune nel frattempo bloccate (come SKYECC ed Encrochat) e altre che sono divenute i "player" del momento nel mondo criminale, un titolo che ora spetta a No.1 Business Communication (NO1BC). «Da quando abbiamo iniziato a confrontarci» con il problema, spiega Lardo, «abbiamo realizzato di essere stati poco lungimiranti, di essere rimasti indietro rispetto ai passi fatti dalla tecnologia».

Questi dispositivi sono sintomatici dell'appartenenza a una realtà criminale. «Un telefono criptato si compra se si fa parte di una rete». E non si può acquistare in negozio, «il reseller lo vende per strada, lo si incontra su appuntamento». E il traffico stesso dei criptfonini è diventato un business estremamente redditizio, al punto che c'è chi ha "riconvertito" la propria attività dal traffico di droga a questo tipo di reselling perché «si guadagna molto di più». La diffusione è ampia e su più livelli. Lardo porta alcuni esempi, spiegando come «anche lo spacciatore sotto casa è arrivato a usare il telefono criptato». Mentre andando su gerarchie criminali più elevate cita un fatto risalente al 2016, quando al noto clan dei Casamonica, attivo a Roma e dintorni, venne posta - da alcuni interlocutori colombiani - quale conditio sine qua non il fatto di munirsi di criptofonini per poter avviare un traffico di droga.

EuropolLa confisca di 300 kg di cannabis e di 6 milioni di euro, tra contanti e proprietà; l'individuazione di un bersaglio "di alto valore", fermato in Germania ed estradato in Bosnia; l'arresto di 38 persone (di cui 8 facenti parte dell'amministrazione nazionale bosniaca). È il bilancio di operazione coordinata dall'Europol, iniziata nel 2021 (e conclusa lo scorso giugno) grazie informazioni recuperate da chat criptate.

Dentro le chat criptate, molto più che "pizzini 2.0"
Nelle chat criptate transita di tutto. Droga. Armi. Anche in quantità imponenti. Dalle armi automatiche fino alle autobombe, tutte acquistabili «con grande facilità». E scandagliandole gli inquirenti sono riusciti «a evitare omicidi. A individuare soggetti che erano del tutto sconosciuti». E a toccare il cosiddetto livello superiore, arrivando a broker della droga internazionali e ai «riciclatori di alto livello che mettono a frutto i proventi del traffico di droga». Ma le sole chat, è importante evidenziarlo, non sono una garanzia di miracoli. Le informazioni devono essere sempre inserite in un contesto probatorio più ampio. Anche perché si sta parlando di una mole sterminata di dati. «Il materiale che abbiamo richiederebbe centinaia di anni per essere letto», prosegue Lardo.

«Le chat devono essere uno strumento collaterale. Noi dobbiamo implementare le capacità investigative e sfruttare quello che ci arriva dalle chat. Anche perché, altro aspetto drammatico per noi, è stato scoprire dalle chat che quelli che erano gli strumenti classici - i gps nelle macchine e le ambientali - in molti casi venivano scoperti e lasciati dai criminali, provocando così tutta una serie di problemi successivi anche dal punto di vista giudiziario. Perché un domani quel criminale potrà sfruttare quella chat in suo favore. Quindi la tecnologia deve essere sfruttata a trecentosessanta gradi». E per farlo occorrono risorse, persone ben formate e, soprattutto, una profonda armonizzazione di strumenti e metodi tra le autorità investigative a livello nazionale e internazionale.

In termini puramente tecnologici, la sfida è rappresentata «da tecnologie e protocolli sempre più affinati. E da software sempre più potenti», ha spiegato Nicolas Tagliabue, ricercatore del Servizio di informatica forense SUPSI. Ma «trovando una falla, anche piccola, si può smontare una fortezza». Perché la sicurezza «è un fatto solo in un certo istante di tempo». Un esempio è dato da quanto è accaduto alla rete Encrochat, che una volta compromessa ha inviato a tutti gli utenti collegati un messaggio di allerta in cui consigliavano di «spegnere e disfarsi immediatamente del proprio dispositivo». E fu in quell'occasione, ha raccontato Lardo, che il ROS dei Carabinieri scoprì «grazie a un'intercettazione», alla vecchia maniera, il suo utilizzo. Era il 13 giugno del 2020 e «due soggetti, calabresi, si lamentavano del fatto che non funzionasse più il telefono e che fosse arrivato un messaggio. E da lì ci si è aperto sostanzialmente un mondo».

EuropolIl consiglio di «spegnere e disfarsi immediatamente del proprio dispositivo», inviato da Encrochat ai suoi utenti quando il sistema è stato compromesso.

Una questione di armonia
Torniamo però all'armonizzazione. «La necessità di cooperare è cresciuta in modo esponenziale», ha quindi puntualizzato Kühner, aggiungendo che «la cooperazione internazionale non passa solamente dallo scambio di dati ma anche dalla collaborazione in senso fisico». Sul posto. Una necessità, quella di «un'armonizzazione più stringente», ribadita anche dal tenente colonnello del ROS dei Carabinieri, «perché in molti casi ci troviamo a dover contrastare il crimine ma a non avere gli strumenti adeguati per poterlo fare». E perché, va ricordato, ogni Paese ha metodi e possibilità d'azione diverse.. E perché, va ricordato, ogni Paese ha metodi e possibilità d'azione diverse.

L'Italia, che delle mafie tradizionali è la culla, ha uno strumentario per il contrasto delle organizzazioni criminali tra i più articolati al mondo e che, a differenza della Svizzera, consente di agire in maniera preventiva. «Questo è un grande vantaggio, ma - afferma Lardo - forse negli ultimi anni ci ha reso un po' superbi». E, di riflesso, «le organizzazioni non si sono fermate ma sono emigrate all'estero, perché lì il problema non c'era». E tra le mete, lo sappiamo, c'è anche il nostro Paese. Un «porto sicuro», come emerge da numerose chat criptate. «In Svizzera nessuno ha gli strumenti per cercare in modo preventivo», conferma Kühner. La polizia non può fare affidamento sulla prima impressione, che «in Svizzera inganna ancora di più, perché le cifre della criminalità calano e quello che si vede non corrisponde necessariamente a quanto avviene nella realtà».

Per agire «dobbiamo avere la certezza. Il nostro lavoro ricorda quello di un orologiaio, occorrono precisione e grande cautela». È un lavoro che il sostituto capo della PGF definisce di police intelligence. «Grazie alla collaborazione internazionale riceviamo moltissimi dati» e la sfida è riuscire a prendere questa massa ed elaborarla «in tempi ragionevoli», per poi analizzarla.

L'armonizzazione è quindi il pilastro su cui edificare un efficace contrasto alle mafie potenziate dalle moderne tecnologie. Quella priorità che emerge come denominatore comune tra i vari organi di polizia e investigativi a livello internazionale. «Non dobbiamo arrivare sempre alle strette per poter agire. Anche perché - conclude Lardo - le organizzazioni criminali questa "pazienza" non ce l’hanno. Dovremmo, in qualche maniera, "conformarci" a loro e ragionare un po’ più come loro. La nostra non è solo un’attività di contrasto, la nostra deve essere soprattutto un’attività preventiva. Alla gente interessa che non gli si vada a rubare in casa. Noi falliamo quando arrestiamo il ladro, perché quando arrestiamo il ladro significa che il ladro ha già commesso il reato».