«Mi fido di mio figlio. È degli altri che non mi fido»

Fidarsi dei nostri bambini e dei nostri giovani è salutare, oltre che per loro, anche per la nostra autostima
Parliamo di fiducia… È qualcosa che si può insegnare? È una qualità che si eredita con il patrimonio genetico della mamma e del babbo? Non saprei, davvero. Di certo, però, quello della fiducia (in sé stessi e negli altri) è un tema che in educazione ha un posto di primo piano.
Se mi trovo confrontato con un bimbo che si muove in modo incerto, non significa certamente che si tratta di un bimbo insicuro, anzi. I bambini sono per natura fiduciosi e si muovono naturalmente verso l'altro cercandone il contatto, l'affetto, la condivisione di un'esperienza. E noi adulti come ci muoviamo davanti a questo bisogno, o a quest'attitudine? Solitamente – e non è per nulla facile – ci fidiamo dei nostri pupi e dei nostri pargoletti e li lasciamo sperimentare per scoprire il mondo che sta loro attorno (prese le dovute cautele).
Quando i bambini crescono, però, molto spesso il nostro atteggiamento cambia e diveniamo meno fiduciosi: non siamo più disposti ad assumere quei rischi educativi che in precedenza avevamo, anche con orgoglio, deciso di portare sulle nostre spalle. E allora dove sta il problema? Perché avvengono questi cambiamenti?
Mi è successo di sentire un genitore che candidamente dichiarava che di suo figlio ci si poteva tranquillamente fidare ma degli altri no. Considerazione davvero singolare, poiché – come recita un famoso adagio – ognuno di noi è gli altri. Se le cose stessero davvero così noi adulti avremmo un problema da risolvere, che è quello legato alla incertezza che abbiamo nei confronti di ciò che sta attorno ai nostri bambini e ai nostri giovani. Non corriamo così il rischio di privarli di esperienze significative? Certo. Ed è per questo che fidarsi dei nostri bambini e dei nostri giovani è salutare, oltre che per loro, anche per la nostra autostima.





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