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C'era una volta una casa nel bosco

Dalla vita nei boschi abruzzesi all'intervento dei servizi sociali: la vicenda della "famiglia del bosco" solleva interrogativi su diritti, infanzia e scelte di vita.
Dalla vita nei boschi abruzzesi all'intervento dei servizi sociali: la vicenda della "famiglia del bosco" solleva interrogativi su diritti, infanzia e scelte di vita.

Una casetta in sasso nelle colline abruzzesi, un bosco di querce e faggi e un fiume nelle cui acque fare il bagno, tanti animali liberi e una famiglia con tre bambini piccoli. Sembra il racconto di una fiaba ma, se ci si potesse avvicinare, si noterebbe come la casa non sia proprio nuova, manca di servizi igienici, acqua corrente ed elettricità. Le persone che vi abitano sembrano felici e in buona salute, ma i bambini non vanno a scuola e forse non vengono portati da molto tempo da un dottore.

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Stiamo parlando della famiglia Trevallion-Birmigham, e in questi elementi così contrastanti, in bilico tra felicità e precarietà, tra certezze e dubbi, si basa la vicenda che sta tenendo banco da settimane in Italia e all'estero. Si tratta di una storia complessa che vede il coinvolgimento degli assistenti sociali e del Tribunale per i minori de L'Aquila, di una mamma alloggiata in una struttura protetta con i propri figli e di un padre che si trova, all'improvviso, spogliato dei propri affetti e vede messo in discussione il proprio stile di vita. Si tratta di una vicenda che ha spaccato l'opinione pubblica tra innocentisti radicali, decisi a difendere nelle piazze le scelte genitoriali dei Trevallion, e colpevolisti che approvano l'intervento delle autorità a salvaguardia dei minori.

Una vicenda nella quale non è facile orientarsi tra ciò che è vero e ciò che sono solo illazioni, e che forse è possibile capire solo facendo attenzione alle sfumature, e non seguendo delle prese di posizione nette e, molte volte, non del tutto consapevoli.

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I protagonisti di questa storia, il cinquantenne inglese Nathan Trevallion e la quarantacinquenne Catherine Birmingham, ex chef ed ebanista lui e istruttrice di equitazione lei, si sono conosciuti diversi anni fa a Bali, in Indonesia, e dopo aver vissuto tra Europa e Asia per diverso tempo, si sono stabiliti a Teramo, in Abruzzo, dove sono nati i figli della coppia: una bambina che ha attualmente otto anni e due gemelli di sei anni. Dopo un incidente automobilistico a bordo di un taxi, il padre Nathan ha una sorta di epifania e con la famiglia decide di cambiare vita nel 2021, trasferendosi nei boschi di Palmoli, un borgo abruzzese di neanche novecento abitanti.

Il resto della storia è ben noto: a settembre di quest'anno la famiglia viene ricoverata in ospedale per un'intossicazione da funghi e, da quell'episodio, i controlli dei servizi sociali si fanno più insistenti fino alla decisione di collocare i bambini, con la madre al seguito, in una struttura protetta e fissare dei termini per avviare lavori edili che permettano alla casa di ottenere la totale agibilità. Una volta divenuta di dominio pubblico, però, la vicenda dei Trevallion è come se si sdoppiasse, e ciò che viene detto e documentato, è bene sottolinearlo, dai servizi sociali e dal Tribunale per i minori, sembra non coincidere con quanto sostenuto da Nathan e Catherine.

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Secondo il primo, l'ordinanza di allontanamento dei bambini è stata adottata perché «contrariamente all'impegno di collaborare dichiarato all'udienza, i genitori non hanno inteso più avere incontri e colloqui con gli assistenti sociali» che, come detto, avevano preso in carico la situazione della famiglia già dallo scorso anno.

A fondamento della decisione del Tribunale vi sarebbe la lesione dell'articolo 2 della Costituzione italiana che garantisce il diritto alla vita di relazione che, in questo caso, sarebbe appunto stata violata. Secondo il Tribunale, infatti, «la deprivazione del confronto tra pari in età di scuola elementare può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico». Vi sarebbe poi «un pericolo all'integrità fisica derivante dalla condizione abitativa, nonché dal rifiuto da parte dei genitori di consentire le verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge» oltre «all'assenza di agibilità e pertanto di sicurezza statica, anche sotto il profilo del rischio sismico e della prevenzione agli incendi, degli impianti elettrico, idrico e termico e delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità dell'abitazione».

Vi sarebbe quindi una presunzione ex lege dell'esistenza di un pregiudizio per l'incolumità fisica dei minori che, come sappiamo, sono stati collocati altrove. La visione dei genitori è diametralmente diversa rispetto a quanto sostenuto dalle autorità, e in più occasioni hanno dichiarato di voler crescere i propri figli lontani dalla «tossicità della società moderna», in maniera libera e con ritmi più lenti, e di aver scelto come forma educativa l'unschooling, ossia una modalità di apprendimento più istintiva e plasmabile sulle inclinazioni personali dei bambini, proprio per il bene dei figli. A Vanity Fair, Catherine ha dichiarato di stare crescendo «delle persone emotivamente più stabili, sicure e circondate d'amore, dalla comunità, dagli amici nel rispetto degli altri e del pianeta» e che questo non può essere considerato pericoloso per nessun bambino.

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Tanti aspetti della vicenda, però, appaiono ancora poco chiari e se da una parte i genitori dicono di aver ottenuto l'autorizzazione per portare avanti il proprio progetto di homeschooling, così come permesso dalla legge italiana a determinate condizioni, e di aver fatto seguire i bambini da una pediatra della zona, il Tribunale ha contestato loro di non aver seguito le regole fissate per l'apprendimento casalingo, quale quello di sostenere annualmente un esame di conferma delle abilità apprese, e di essersi rifiutati di seguire i percorsi terapeutici stabiliti per legge. A tal proposito è circolata la notizia che i genitori, tempo addietro, avrebbero chiesto provocatoriamente la cifra di cinquantamila euro per far visitare i propri bambini da un medico ed è emerso, secondo quanto riferito dal quotidiano Il Centro, che lo scorso anno la donna ha fatto perdere le proprie tracce rifugiandosi in Valsamoggia, in provincia di Bologna, con i bambini al seguito «per sfuggire alla minaccia che ci portino via i nostri figli».

Ad oggi la situazione appare molto complessa e ciò è testimoniato anche dalla recente decisione del legale della famiglia Trevallion, l'avvocato Giovanni Angelucci di rimettere il proprio mandato «per le troppe pressanti ingerenze esterne che hanno incrinato la fiducia posta alla base del rapporto che lega avvocato e cliente». Per il legale, i rifiuti opposti dai Trevallion di accettare una delle tante proposte conciliative offerte sia dal Comune che da privati cittadini, come quella di ristrutturare la casa gratuitamente o di traslocare in una nuova abitazione messa a disposizione dal comune di Palmoli, avrebbe reso inefficace la propria assistenza legale. Di contro, Nathan e Catherine hanno di recente dichiarato che l'intera vicenda nasce come un malinteso per non aver potuto ben comprendere il contenuto dell'ordinanza del Tribunale per i minori e di aver potuto, solo da pochi giorni, leggere in inglese gli atti legali che li riguardano.

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La storia di quella che è ormai nota come “la famiglia del bosco” ha avuto, e continua ad avere, anche un'eco internazionale, e sono tante le testate giornalistiche estere a essersi occupate della vicenda con modalità diverse, a seconda del punto di vista adottato sulla questione. Se il Guardian e la Cnn, ad esempio, hanno voluto scrivere un resoconto quanto mai obiettivo, The Independent ha voluto porre l'accento sulla reazione emotiva suscitata dall'allontanamento dei bambini dalla casa colonica nella quale alloggiavano, dando spazio alle voci contrarie alla decisione del Tribunale. Il quotidiano francese Le Figaro ha parlato «di tensioni sul potere giudiziario e la protezione all'infanzia», sottolineando come la questione sia stata strumentalizzata dal Governo italiano per criticare l'operato della magistratura, e lo stesso si può dire sul quotidiano tedesco Der Spiegel per il quale «il fatto che un singolo caso riceva tanta attenzione dai vertici della politica nazionale potrebbe essere percepito come una strumentalizzazione da parte delle istituzioni italiane per creare un'atmosfera contraria all'apparato giudiziario. Un comportamento simile è quanto successo con l'ex primo ministro Berlusconi».

Ciò che appare preoccupante, infatti, è che la primo ministro Giorgia Meloni e il suo vice Matteo Salvini abbiano criticato apertamente la decisione del Tribunale, con quest'ultimo che ha dichiarato quanto sia vergognoso che «lo Stato si preoccupi dell'istruzione privata e delle scelte di vita di due genitori che hanno trovato in Italia un paese ospitale, eppure ruba loro i propri figli». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio si è detto perplesso, giudicando estremi i provvedimenti contro una famiglia «che decide di vivere pacificamente, secondo i principi di Rousseau, nella natura». Ciò che appare chiaro, in un tale ginepraio di informazioni e controinformazioni, è quanto sia semplice emettere giudizi superficiali sulle cose senza conoscere i reali risvolti di una vicenda e strumentalizzare forzatamente una vicenda delicata, per sentirsi dalla parte del giusto.

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Appendice 1

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