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Il cibo divora le città italiane: malati di Foodification

Città d’arte trasformate in villaggi del cibo: boom di locali e residenti in fuga.
Città d’arte trasformate in villaggi del cibo: boom di locali e residenti in fuga.

I centri storici delle principali città italiane sono diventati dei villaggi turistici a tema gastronomico. Chiuse le botteghe storiche, chiusi i negozi tipici, difficile, se non impossibile, la vita di coloro che risiedono nelle strade del centro prese d'assalto da turisti alla eterna ricerca di cibo e drink da bere. A questo fenomeno è stato dato il nome di 'foodification', termine coniato nel 2010 dal Brooklyn Paper, che descrive la trasformazione delle città dal punto di vista urbanistico a causa della massiccia presenza di attività enogastronomiche. Nel 1964, la sociologa inglese Ruth Glass coniò il termine 'gentrification' per descrivere l'imborghesimento di quartieri un tempo appannaggio della classe operaia, la quale veniva lentamente rimpiazzata dalle classi benestanti non potendosi più permettere di pagare gli affitti dei quartieri riqualificati. In questo senso 'foodification' esprime la gentrificazione delle città motivata dall'apertura di sempre maggiori punti di ristoro dovuti all'aumento della presenza di turisti.

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La carbonara sostituisce la cultura - Ha fatto molto discutere un recente articolo del New York Times che denuncia il fatto che le principali città italiane si siano trasformate “in infiniti ristoranti all'aperto che vendono carbonara in padelle instagrammabili mentre le donne srotolano le tagliatelle dietro le vetrine, in una sorta di simulazione delle tipiche nonne italiane”. Il tutto a favore dei milioni di turisti che affollano i centri storici, attirati più dal cibo che dalla cultura del Bel Paese. Nella sola via Maqueda, storica strada delle città di Palermo, si possono contare trentuno ristoranti, e lo stesso dicasi per Roma, Bologna, Torino o Firenze, dove il sindaco, così come quello di Palermo, ha vietato l'apertura di nuovi ristoranti in diverse strade cittadine. Il foodification è tra i maggiori responsabili dello svuotamento dei centri storici da parte dei suoi abitanti: la sola Roma ha perso oltre un quarto dei suoi residenti negli ultimi quindici anni ed è possibile osservare lo stesso fenomeno in città come Venezia e Firenze, con tassi molto più veloci che in altre città. Come riferito dal Tgcom24, a Milano, nel quartiere cinese di via Sarpi, le attività di ristorazione sono aumentate del 30%, tra il 2009 ed il 2015, a Bologna, tra il 2009 ed il 2018, tale aumento si è assestato al 27%, quasi il doppio della media nazionale, con il 72% dei nuovi esercizi rappresentato da take away, mentre nello storico ghetto ebraico di Roma, a seguito di una sempre maggiore richiesta turistica, i ristoranti sono aumentati esponenzialmente, come documentato dalla rivista 'Grastronomica' dell'University of California Press.

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Quartieri stravolti - Se è vero, quindi, come detto dal New York Times, che il turismo rappresenta il 13% dell'economia italiana, il turismo enogastronomico, nello specifico, secondo l'Agenzia per il turismo, è quasi triplicato nel corso dell'ultimo decennio. Si parla di un vero e proprio stravolgimento di interi quartieri cittadini che hanno perso sempre più residenti a favore di attività turistiche che ne hanno cambiato completamente l'assetto originario. Le “targhette dei bed and brekfast che affollano gli ingressi dei condomini residenziali” o “le flotte dei minivan, golf cart a dieci posti o le valigie extra large che si scontrano lungo i ciottoli in vicoli stretti” sono, secondo il quotidiano statunitense, un chiaro segnale del fenomeno in questione, accompagnato da “una esplosione di negozi di limoncello, bar con tiramisù e ciotole di spaghetti che hanno sopraffatto le strade centrali”.

Ma quale arte, vogliono cibo - Se un tempo, le città d'arte italiane richiamavano un turismo prevalentemente volto alla scoperta del ricco patrimonio storico e culturale italiano, attualmente l'interesse dei turisti è maggiormente concentrato a vivere delle esperienze culinarie fintamente veraci, nell'illusione di potersi cibare di prelibatezze che di tipico hanno poco o niente. “E' come se in strada apparissero consumatori ciechi, senza papille gustative e con stomaci di ferro, e le aziende ne hanno approfittato” ha dichiarato al Nyt Maurizio Carta, un funzionario palermitano incaricato della pianificazione urbanistica. Il turismo gastronomico è un fenomeno che è cresciuto a ritmi vertiginosi negli ultimi decenni, da quando la ricerca di cibi e bevande tipiche sono diventati la motivazione principale per compiere un determinato viaggio. Tale tipologia di turisti ha anche una propria categoria su Airbnb che riferisce che il 30% delle prenotazioni è volto proprio verso tali tipi di esperienze culinarie.

Il cibo porta milioni - Secondo l'Organizzazione mondiale del turismo, nel 2024 il turismo enogastronomico ha fruttato a livello globale delle entrate per 1,6 trilioni d dollari, e si stima un aumento del 17,1% del turismo culinario e del 12,7 % di quello enologico nei prossimi dieci anni. L'Europa è sicuramente la meta più ambita in tale settore, con il 35%, seguita dal Nord America, il 28%, e il Sudest asiatico con il 24%. Secondo la World Tour Travel Association, Wfta, l'80% dei viaggiatori ricerca esperienze legate al cibo o alle bevande mentre il 63% degli stessi si considerano dei ' viaggiatori culinari'.

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Ristoranti che spuntano come funghi - L'overtourism, compreso quello enogastronomico, è una piaga crescente che ha dato origine, la scorsa estate, ad una serie di manifestazioni di piazza in diversi Paesi del sud dell'Europa, in particolare Spagna, Portogallo e Italia, coordinate dal Set, Southern Europe Against Touristification Network. I membri di tale rete, ritengono che il turismo di massa abbia dimostrato il fallimento del modello economico globale in forza del fatto che i lavoratori dell'industria turistica per primi, e i residenti di determinati quartieri, non possano più permettersi di pagare l'affitto a causa di mercati immobiliari che risultano gonfiati dalla richiesta di affitti brevi a fini turistici. Il problema dell'overtourism e della foodification, espressione entrambe dell'eccessiva presenza di turisti in un determinato luogo, è stato denunciato lo scorso settembre anche da Le Figaro che descriveva in Francia una situazione simile a quella di molti altri Paesi europei, ossia la presenza di un numero eccessivo di ristoranti nelle principali città turistiche del Paese. Secondo l'Ufficio statistico nazionale francese, Insee, il numero dei ristoranti è passato da 165.112 del 2020 agli 175.000 di quest'anno. Si tratta in prevalenza di nuove catene di fast food alla cui apertura corrisponde “la fine delle imprese locali che vengono acquistate a buon mercato per essere riconvertite in bar e ristoranti” come spiegato da Fabrice-Sébastien Bach, vicesindaco per il commercio e l'intrattenimento di Barritz dove è stato adottato un ordine prefettizio per limitare l'apertura di nuovi ristoranti in tre aree specifiche della città.

Colpa di social e trasmissioni gastronomiche televisive - Tra le tante cause di questa situazione vi è la diffusa popolarità delle trasmissioni televisive a tema culinario e la popolarità sui social media degli hastag legati al cibo. Quello relativo al termine 'food' si trova in circa duecentocinquanta milioni di post pubblicati su Instagram, mentre, sempre secondo il Tgcom24, il 38% degli utenti della piattaforma guarda contenuti legati al cibo e il 27% di loro li condivide. L'importanza del cibo nei social media è immediatamente testimoniata dalla abitudine, ormai consolidata, di fotografare e condividere qualsiasi piatto venga preparato o si stia per gustare. Ciò ha spinto sempre più persone ad organizzare i propri viaggi per poter sperimentare dei nuovi sapori, il che non sarebbe neanche una cosa negativa se non fosse accompagnata da quella fretta di consumare tutto che caratterizza tanti aspetti della nostra società. Salvo rare eccezioni, la ricerca di cibo locale, a prescindere dalla sua qualità e tipicità, sembra una cosa fatta ad uso e consumo di ciò che verrà condiviso sui social media piuttosto che una reale esigenza del viaggiatore in questione. L'esperienza culinaria, quindi, ha valore solo se, come precedentemente detto, risulta interessante sui social media: tale modo di vivere l'esperienza culinaria, quindi, si lega al turismo 'mordi e fuggi'. E' difficile dire se questa tendenza potrà naturalmente rientrare in dei limiti più giusti, ma la sua regolamentazione è una esigenza quanto mai pressante per poter dare nuova dignità e garantire la vivibilità delle città ormai ostaggio delle “padelle instagrammabili”.


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