La parola è finita al centro del dibattito politico, soprattutto per l'uso fatto dall'estrema destra
Ci sono parole che periodicamente si impongono all'attenzione generale e vengono impiegate, più o meno a proposito, con sempre maggiore frequenza. È successo alla fine del 2024 con "remigrazione", ossia migrare indietro, fare ritorno al proprio Paese d'origine.
È una parola adottata dall'ultradestra europea per illustrare i piani di rimpatrio forzato dei cosiddetti migranti irregolari. È stata proprio Alice Weidel, leader di Alternative für Deutschland (Afd) e in corsa per il cancellierato tedesco, ad aver dichiarato che la volontà del suo partito è quella di «procedere a rimpatri su larga scala. Se si deve chiamare remigrazione, si chiamerà remigrazione», veicolando così questo termine al progetto di rimpatriare forzatamente i migranti non più ben accetti in Germania ed Austria.
La parola "remigrazione", in questa nuova veste di slogan politico, ha iniziato a diffondersi sempre più, venendo mutuato anche in Italia da diversi parlamentari della Lega per poi diventare oggetto di un raduno internazionale dell’estrema destra che si dovrebbe tenere a Milano il 17 maggio prossimo. Tale raduno è promosso da Martin Sellner, leader di Movimento Identitario e sostenitore del progetto Defend Europe - che con navi private mira a pattugliare il Mediterraneo per fermare le ondate migratorie. I Giovani Democratici hanno lanciato una raccolta firme per impedire il suo svolgimento.
Siamo alle prese con un fenomeno che ci appare nuovo, ma invece ha radici antiche. Già il filosofo Giordano Bruno, come ricordato da Valeria Della Valle su Avvenire, usò tale termine con il significato di “ritornare al proprio luogo d'origine” nella sua opera "Spaccio de la bestia trionfante" del 1584. In origine, il termine remigrazione veniva usato in sociologia con il significato di "tornare a casa" e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne ad esempio utilizzato per descrivere il progetto di molti ebrei europei di tornare in Israele.
Un cambio di accezione - In Francia, cosi come in altri Paesi europei quali il Belgio o la Norvegia, si discute di remigrazione da quasi un decennio. Nel 2021 sul quotidiano francese Le Monde venne pubblicato un articolo sul tema a firma di Luc Cédelle, nel quale remigrazione veniva qualificato come «un termine propagandistico che incentiva la fantasia di espellere milioni di esseri umani dal paese in cui vivono». Secondo Cédelle, infatti, «questo termine porta a confini politici dove si incrociano le strade dell'estrema destra elettorale, rappresentata dal Rassemblement National, e quelle dell'ultradestra faziosa (…) Il tema, di recente sviluppo, accompagna l'emergere della teoria cospiratoria della "grande sostituzione" della popolazione francese a opera degli immigrati arabo-africani promossa da Renaud Camus».
In Francia, il primo uso pubblico del termine venne fatto dal movimento di estrema destra francese Bloc Identitaire, poi ribattezzato Les Identitaires nel 2016, durante una delle sue "Assises de la remigration" nel novembre del 2014 a Parigi. Durante la riunione, come raccontato all'epoca da Le Figaro, l'attivista di estrema destra Damien Rieu spiegò che «la remigrazione è dare il diritto agli stranieri di vivere ogni anno dove vanno in vacanza d'estate», presentando il progetto come una sorta di "regalo" insperato per persone ritenute non desiderate sul suolo francese. Sempre su Le Monde venne riportato il pensiero sul tema di Jean-Yves Camus, politologo specializzato nei movimenti di estrema destra, secondo il quale, già allora, «la remigrazione veniva presentata dai suoi promotori come una soluzione amichevole, l'unica in grado di evitare il bagno di sangue di una guerra civile».
Trump, dalle parole ai fatti - Dopo aver trovato terreno fertile, quindi, in Francia e Germania, il termine "remigrazione" ha poi valicato i confini europei per approdare negli Stati Uniti lo scorso anno. Donald Trump, all'epoca impegnato nella corsa per la Casa Bianca, promise che come presidente avrebbe posto fine immediatamente «all'invasione dell'America da parte dei migranti. Interromperemo tutti i voli dei migranti, porremo fine a tutti gli ingressi illegali e restituiremo i migranti illegali di Kamala ai loro Paesi d'origine, ciò è noto come "remigrazione"». Parole che sposavano l'idea che riportare forzatamente i migranti ai propri luoghi d'origine non solo fosse opportuno, ma anche legale.
Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Trump ha iniziato ad attuare questa sua politica di rimpatri o espulsioni forzate. Negli scorsi giorni è atterrato al Centro di detenzione di Guantanamo il primo gruppo di migranti clandestini considerati ad alto rischio. In precedenza la stessa Casa Bianca aveva diffuso le foto di migranti clandestini in catene scortati su di un cargo militare, accompagnate dalla frase «una promessa mantenuta».
Pericoloso l'utilizzo, non la parola in sé - Come sostenuto da molti esperti linguisti, la parola "remigrazione", così come ogni altra, non può essere considerata pericolosa di per sé, ma solo in base all'utilizzo e al contesto in cui viene inserita. Ciò che preoccupa attualmente è l'uso indiscriminato che viene fatto del termine nell'ambito di un tema delicato come quello del fenomeno migratorio. A metterne in luce la strumentalizzazione politica è stata, nel 2023, una giuria di linguisti di Marburg, in Assia. 'Remigrazione' è stata eletta "non-parola" dell'anno, in ragione del suo essere «usata come vocabolo eufemistico di copertura dai partiti di estrema destra». Secondo la presidente della commissione Constanze Spiess, «l'uso del termine da parte della nuova destra mira a raggiungere l'egemonia culturale e l'omogeneità etnica. Ciò che viene richiesto con l'uso di questa parola viola la libertà di base e i diritti civili delle persone con un background migratorio».
Anche secondo Julia Ebner, ricercatrice dell'Istituto per il Dialogo Strategico e all'Università di Oxford, il termine remigrazione deve il suo successo «alla sua natura apparentemente eufemistica. Suona molto più benevolo di quello che in realtà rappresenta, perché soprattutto in Germania e Austria c'è ancora una forte associazione del termine deportazione di massa con l'Olocausto».